
Sante Montanari (fotoservizio Cristiano Frasca e Alessandra Salieri)
’Uei bibo’ se lo sono sentiti dire in tanti da Sante Montanari, storico fotografo del Carlino, eppure lei, la figlia Annamaria, era la ‘biba’ per eccellenza, e oggi, attraverso gli occhi del padre morto nell’agosto 2022, è la testimone indiretta di un modo di fare giornalismo che non esiste più, se non in un riverbero. Ma anche il presente – fatto di computer, mail, social network e programmi avveniristici – è debitore di quel passato.
Allora, ai tempi di Sante, fotoreporter dal 1960 al 2008, tutte queste cose non c’erano. C’erano le macchine da scrivere e le camere oscure e c’erano gli articoli inviati in redazione in buste ‘fuori sacco’, per bypassare la posta ordinaria. Allora come ora, però, c’erano le fonti. Le reti di contatti fortemente umani che, anche se a volte filtrate dal telefono, non possono mai prescindere anche dalla vicinanza fisica, dalle strette di mano, dalle battute, dalle confidenze ‘a taccuini chiusi’ in cui Sante era un maestro. "Lui ha cominciato come postino in zona Baia del Re – ricorda Annamaria – e per un po’ ha avuto un doppio lavoro, al giornale e alle Poste. La sua professione di portalettere sicuramente l’ha aiutato, perché in tanti lo conoscevano, anche grazie al suo carattere molto espansivo, e si fidavano di lui".
Il suo contatto con le persone, diretto e senza filtri, è il segno di un modo di esercitare la professione di cronista che non ha tempo e che nessuna intelligenza artificiale può superare: quello trasparente e diretto che si fa in piazza, nelle strade. E questo Sante, che pure l’intelligenza artificiale non l’ha mai conosciuta, lo sapeva bene: "Le sue conoscenze – racconta Annamaria – diventavano amicizie e queste amicizie gli hanno consentito di portare al giornale tante fotografie, ma anche tante notizie".
Non aveva filtri, Sante, e questo, chi l’ha conosciuto, lo sa bene, ma aveva dei trucchi, quelli sì: delle piccole ‘magie bianche’ da rodato prestigiatore del giornalismo. "A volte – confida la figlia –, parlando con le sue fonti più reticenti, faceva finta di conoscere già una notizia, sperando che loro, credendogli, si sbottonassero un po’ di più e, di fatto, spesso andava proprio così. Questo trucco lo usava anche con me, a volte, ma dopo un po’ io mi sono fatta furba e ho smesso di caderci".
Annamaria ricorda la sede del Carlino in corso Mazzini, dove spesso Sante portava anche lei: "Era la mia seconda famiglia", racconta, e ricorda le anime di quella famiglia: Luciano Foglietta, Ugo Ravaioli e Roberto Zoli, poi Enrico Zavalloni ("che si occupava di spettacoli e mi fece conoscere i Jethro Tull"). Ora il sogno di Annamaria, già così consistente da potersi dire ‘progetto’, è quello di esporre le foto del suo babbo: "Migliaia di scatti miracolosamente salvati dall’alluvione che ha colpito la mia casa nel 2023" e che ora sono lì, silenziose dentro decine di scatoloni, impazienti di tornare al loro ruolo originale: raccontare ancora una volta la storia della città.