Valerio Baroncini
il Carlino: 140 anni di storia

Imola "viva fiamma". Orgoglio e autonomia. Le tante battaglie dalla F1 all’ospedale

Il nostro giornale compie 140 anni, la redazione di via Quarto fondata nell’83. Dall’eredità di Andrea Costa al boom economico fino alla crisi. E poi la nera e il costume: così è cambiata la professione dei cronisti

Il ritmo dell’architettura del Palazzo Comunale che si staglia su piazza Matteotti (Isolapress)

Il ritmo dell’architettura del Palazzo Comunale che si staglia su piazza Matteotti (Isolapress)

Imola, 9 maggio 2025 – Come si racconta un sogno di carta? C’è un ragazzino, poco più di un bambino, che mette piede per la prima volta – era passato da poco l’11 settembre – nella redazione di via Quarto. La redazione di un giornale vista con gli occhi di un liceale di Fabbrica che sperava di accedere all’autodromo e alle partite della Virtus: lo scalone, i soffitti affrescati, le sigarette (tante sigarette), le buste col fuorisacco appena dismesse, i borderò, l’agenda borgogna, le tastiere dei computer battute con un dito, le foto di Marco Isola. Il capo si chiamava Roberto Canditi e non c’è più. La vice Lidia Golinelli è la maestra di tanti fra noi. Non si offenderà se le rubo le parole-manifesto, scritte il 14 settembre 2003, quando il Carlino Imola, fondato da Tino Neirotti con Franco Basile capopagina, stava per compiere 20 anni: "Un cronista non ha il cervellone di un archivio, ma ha qualcosa dentro – un cuore, anche se per molti è una ‘notizia’ – e dai vent’anni accatastati sulle sue spalle tira intanto fuori un ricordo".

Sfoglia lo speciale dedicato alla tappa di Imola per il 140esimo anniversario de ‘il Resto del Carlino’

Gli anni del Carlino Imola ora sono 42, quelli del giornale – dalla fondazione a Bologna – sono 140. Un cronista non ha il cervellone di un archivio e nemmeno la capacità compilativa dell’intelligenza artificiale, se volessimo aggiornare la profetica frase di Lidia agli anni Venti del nuovo millennio; la carta è diventata anche web e il web anche social. E ora tiro fuori il mio ricordo. Fra le tante storie passate nelle pagine – oltre quattro decenni di cronaca rappresentano una pila di quindicimila giornali, provate a immaginarveli uno sull’altro e andate sulla cima di quella torre – cito quella di Ivana Bendini, la mamma di Ateo Cardelli, operatore ucciso 25 anni fa esatti in una comunità, l’Albatros di via Giovanni XXIII, da un paziente psichiatrico. Per quella morte un medico fu condannato – prima volta in Italia – per l’omicidio commesso dal suo assistito. Ma la cronaca, fatta di lacrime, racconta la resistenza di Ivana, la sua determinazione, il suo orgoglio, il suo dolore, l’ostinata voglia di giustizia, i mazzi di fiori bianchi che nessuna Chat Gpt può raccontare. Il cuore del cronista.

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Il Carlino è stato ed è cronaca, a Imola dalle pagine nere della droga negli anni Ottanta alle gang multietniche, dal 2002 con sette morti in due mesi alla tragedia di Ayrton Senna nel weekend dell’1 maggio 1994 che ha cambiato per sempre la storia.

L’autodromo, appunto, croce e delizia. Quasi non c’è bisogno di raccontarlo. O forse sì, nel drammatico 2006, quando Bernie Ecclestone, allora patron della F1, mise su un piattino d’argento di un set da the al sindaco Massimo Marchignoli (scomparso troppo presto) la famosa letterina ‘Sorry, but Imola is lost’, ‘Scusate, ma Imola è perduta’. Seguì il purgatorio, poi il ritorno dei bolidi. E adesso, cosa accadrà dopo il Gp di maggio?

La città è cambiata e alcuni suoi simboli non ci sono più: dagli anni Ottanta del Bar Parigi agli anni Novanta e Zero del River Side, fino al Bacchilega chiuso per troppo tempo e ora ripartito. Ma una comunità non vive di solo passato; semmai, lo rilegge e lo riscrive per guardare al futuro. Ai prossimi 140 anni, se usiamo come termine di paragone la nascita del giornale.

Cos’è Imola? Percorrere la via Emilia può aiutare. Intanto il cartello che segna le distanze e rimarca la romagnolità, lo scorgete sui mattoni che ritmano la passeggiata verso Palazzo Monsignani: Faenza 16 km, Bologna 32. Passate l’Orologio, lasciandovi alle spalle piazza Matteotti e, dopo via Cosimo Morelli, sulla destra, fra un gruppo di case, spunta il campanile di Santa Maria in Regola. Un miracolo che rimanda (toh) all’Esarcato di Ravenna.

Ma è invisibile ai più (nemmeno tutti gli imolesi lo conoscono, per vederlo bisogna volere scoprirlo) ed è nascosto da un piano regolatore scellerato che ha segnato la trasformazione della città negli anni del boom economico. Era una delle terre più povere d’Italia, non è un caso che ora sia al centro della locomotiva del Paese. Scariolanti e coop sono passati dalla fatica alla gloria, e dalla gloria eccoci a scrivere di altre crisi, quella storica e infinita della Cogne (con i sindacalisti e gli operai in tenda) e quella moderna di Cesi. Ma ci sono anche le tante storie di successo, la Ceramica e la Sacmi, la Cefla e i privati che hanno (ri)scritto il dna di una terra ricca, ma sempre umile.

Una terra che ha sempre battagliato sulla sanità, tra l’Ospedale Nuovo che non nasceva, Montecatone e l’eterno timore di finire inglobati da Bologna, tornato come un babàu con la creazione della Città Metropolitana (e c’erano anni in cui i sindaci di Castello cadevano proprio per questa ‘pericolosa’ inclinazione petroniana, sotto i colpi della Federazione comunista poi Pds poi Ds poi Pd). Imola è il trattino tra Emilia e Romagna. E Imola cos’è per Bologna?

No, Imola è solo Imola, con una nobile e autonoma vocazione che solo chi vive il territorio conosce. Dai tempi di Forum Cornelii, dei Longobardi che forse (ma la versione è discordante) diedero il nome Imola. S’arrivava, da qui, ai confini del Granducato di Toscana, tra briganti e cascate. Si faceva la trafila partigiana risalendo la Vallata del Santerno (l’antico Vatrenus), si fermavano i tedeschi a Monte Battaglia. Si scendeva fin verso Ferrara e Ravenna, ad esempio a Spazzate Sassatelli, la borgata più lontana dove le recenti alluvioni hanno aggredito tutto.

Come si racconta un sogno di carta? Un sogno che ora è anche digitale? Come si racconta, alla fine, una città come Imola? Si racconta anche con le parole di Giovanni Pascoli sul suo cittadino più illustre, Andrea Costa. Questa l’epigrafe al Piratello: "Fiamma di quell’incendio (d’amore, ndr) fu questa cenere, viva fiamma che soppressa e battuta divampò sempre più bella al vento". Imola, viva fiamma.