
La gioia della regista per il successo del film ’Il ragazzo dai pantaloni rosa’, vincitore del David di Donatello "Un’emozione scoprire che tanti ragazzi sono tornati a vederlo anche 5 o 6 volte assieme ai familiari".
Da Imola ai David di Donatello. Da un piccolo laboratorio di quartiere dedicato al cinema al tappeto rosso dei grandi festival. Margherita Ferri, consacrata alle scene grazie al film successo ’Il ragazzo dai pantaloni rosa’ non abita più sotto l’Orologio, ma non dimentica di certo la sua città natale, forse la fetta più importante delle sue origini.
Questo film ha avuto un successo enorme. Se lo aspettava e si è data una spiegazione del perché è riuscito a superare tanti steccati?
"Vorrei intanto premettere che, per me, il legame con Imola è sempre forte, anche se purtroppo non abito più qui. Secondo me ’Il ragazzo dai pantaloni rosa’ era un bel film, ma quando fai un’opera artistica di qualsiasi genere non hai ben chiaro cosa succederà dopo. Non sai bene quale sarà il futuro di questa creatura (che è proprio una creatura che cammina con le sue gambe nel mondo). Il film è stato molto ben accolto dalla critica e dal pubblico, abbiamo superato 10 milioni di incasso. Significa che il pubblico ha apprezzato la storia, le emozioni, questo ragazzo che purtroppo si è tolto la vita. Sono felice che i giovani siano tornati a vederlo dopo le proiezioni nelle scuol., Tanti ragazzi mi hanno detto di averlo visto anche 5 o 6 volte".
Il messaggio del film era proprio per loro...
"Il film voleva parlare ai giovani ma anche alle famiglie e i genitori sono rimasti molto colpiti. Gli adolescenti, spesso, si allontanano e diventano un mistero. L’obiettivo era di aprire un dialogo tra generazioni. Una delle soddisfazioni più grandi, è stata partecipare alle proiezioni dove studenti e studentesse hanno presentato la propria storia, anche di dolore. Tanti insegnanti hanno raccontato come molti studenti siano riusciti a descrivere con pienezza quello che avevano dentro.. Desideravo che il film potesse aiutare chi sta soffrendo e pensare “non sono solo, non sono sola“".
Questo è il lascito più importante dell’opera che l’ha lanciata a livello internazionale?
"Questo e le storie di cambiamento che il film ha portato".
Un luogo a cui è legata qui a Imola è anche la Palazzina, esempio ben riuscito di intervento pubblico che ha generato tante persone appassionate al cinema come lei.
"Lo dico sempre, crescere a Imola è stato fondamentale. Mi ha dato la possibilità di poter sperimentare con la creatività, facevo parte di un gruppo di teatro. Frequentavo il centro culturale con tanti operatori, una piccola casa di produzione e corsi gratuiti di formazione regionale di cinema. Ventenni si formavano gratuitamente sul territorio, era una risorsa incredibile. Prendevamo in prestito telecamere del Comune e giravamo i nostri corti orribili. Era un laboratorio di grande libertà, oggi inglobato dentro a Ca’ Vaina. Insomma, investendo nella cultura e nelle arti i risultati arrivano".
E’ reduce da un viaggio in Giappone. Cosa c’è in programma per i prossimi mesi?
"Sicuramente riposarsi… non lo so più neanche io! Chiaramente dopo il successo de ’Il ragazzo dai pantaloni rosa’ i produttori sono venuti a bussare da me e ho colto l’occasione per concretizzare un progetto su cui lavoraravo da anni, questa volta ambientato a Bologna con protagoniste adolescenti, tutte ragazze".