SOFIA NARDI
il Carlino: 140 anni di storia

Le tante facce della cultura. Ecco com’è cambiata la città, tra mostre, nuovi musei e il sogno di diventare ’capitale’

Vent’anni fa la prima grande esposizione al San Domenico dopo il drastico restauro, oggi sono tanti i cantieri aperti, tra i quali anche quello per il trasferimento della collezione Verzocchi.

Vent’anni fa la prima grande esposizione al San Domenico dopo il drastico restauro, oggi sono tanti i cantieri aperti, tra i quali anche quello per il trasferimento della collezione Verzocchi.

Vent’anni fa la prima grande esposizione al San Domenico dopo il drastico restauro, oggi sono tanti i cantieri aperti, tra i quali anche quello per il trasferimento della collezione Verzocchi.

Tutto è cominciato con un cantiere: impalcature, gru, operai che entravano e uscivano da un ex convento abbandonato nel cuore della città. Era il 1996 e nessuno poteva ancora prevedere che quel restauro sarebbe stato il primo passo verso la costruzione di un’identità culturale nuova, capace di ridisegnare il profilo stesso della città che, da città votata all’agricoltura, alla meccanica e al commercio, ha scoperto una vocazione nuova, legata all’arte e alla cultura.

Il San Domenico non è solo un edificio restaurato: è diventato uno spazio vivo che ha saputo adattarsi senza perdere le sue radici. L’ex refettorio oggi accoglie i visitatori, i corridoi del piano terra sono diventati gallerie espositive organizzate dalla Fondazione Cassa dei Risparmi, mentre il piano superiore ospita la pinacoteca civica e, per diversi mesi all’anno, le esposizioni artistiche.

È proprio lì, al secondo piano, che si trova l’Ebe di Canova, scultura-simbolo che durante la guerra era rimasta in un magazzino e che ora torna al centro dell’attenzione, mentre si discutono nuove soluzioni per valorizzarla al meglio. Negli ultimi mesi, nel contesto della mostra ‘Il ritratto dell’artista’, che chiuderà i battenti proprio in questi giorni, l’abbiamo vista moltiplicata decine e centinaia di volte in un gioco di specchi che ne ha amplificato la grandiosità, quasi consacrandola simbolo dell’immenso patrimonio forlivese.

Quella in corso è solo l’ultima di una stagione di mostre inaugurata nel 2005. La prima, dedicata a Marco Palmezzano, fu l’embrione di un progetto che negli anni ha portato a Forlì capolavori da tutta Europa e centinaia di migliaia di visitatori. L’anno dopo fu la volta di Silvestro Lega, poi Guido Cagnacci. Ogni esposizione era un tassello, ogni scelta curatoriale faceva salire l’asticella.

Nel frattempo, anche la vicina chiesa di San Giacomo entrava in restauro. Il cantiere durò anni – fu completato solo nel 2015 – ma il risultato è uno spazio unico, pensato inizialmente anche per la musica. A inaugurarlo fu Riccardo Muti, in un memorabile concerto sold out: quella sera si pensava che la ex chiesa sarebbe diventata una sala polivalente per concerti ed eventi e fu vero solo in parte. Oggi, dopo che Salgado ruppe il ghiaccio con la sua esposizione, è parte integrante dei percorsi espositivi.

Da vent’anni a questa parte il Museo di San Domenico è diventato il contenitore di quelle che, nel tempo, sono state ribattezzate ‘le grandi mostre’: un aggettivo che le esposizioni si sono dovute guadagnare con il tempo, un anno dopo l’altro. La prima a ottenere oltre 100mila visitatori (152mila) fu quella dedicata a Canova, la quarta. Poi ci fu ‘Fiori’, poi ancora Melozzo da Forlì, e ‘Wildt’. Si passò poi al Novecento e al Liberty. Nel 2018 la straordinaria ‘L’eterno e il tempo tra Michelangelo e Caravaggio’ fu premiata a livello internazionale. Nel 2020 la mostra su Ulisse fu interrotta dal lockdown, ma riaprì in estate e riuscì comunque a superare i 50mila ingressi. Poi è venuta Dante, nel 2021. E da lì un crescendo: ‘Maddalena. Il mistero e l’immagine’ (2022), ‘L’arte della moda’ (2023) e ‘Preraffaelliti. Un nuovo Rinascimento’ che chiamò turisti da tutta Europa.

Ma la cultura a Forlì non è solo pittura. Dal 2015, con la mostra fotografica di Steve McCurry, si è aperta una nuova direzione: l’autunno è diventato il tempo della fotografia, grazie anche al Festival del Buon Vivere (che, oltre alle mostre fotografiche, ogni anno porta in città una settimana ricchissima di incontri, laboratori e presentazioni di alto livello). Da allora, Salgado, Erwitt, Scianna e di nuovo McCurry hanno portato la fotografia contemporanea in città. E nel 2022 è arrivata ‘Civilization’, una mostra collettiva monumentale che ha raccolto oltre 300 immagini da 130 autori internazionali. Molto partecipata anche l’esposizione dedicata alle più grandi fotografe del mondo che portò in città anche Letizia Battaglia, impegnata anche in un laboratorio che coinvolse studenti da tutta la regione. La mostra fotografica ha saltato l’edizione 2024 in corrispondenza dei lavori per il secondo chiostro del museo, ma la Fondazione ha già annunciato un nuovo progetto per l’autunno.

Questi sono i progetti compiuti, se pure sempre in mutamento, ma in città sono diversi i cantieri aperti, come quello per la realizzazione del ‘Magyc’ – questo il nome che assumerà il museo della ginnastica dell’ex Gil di viale della Libertà – e anche dell’Auditorium Conad, che trasformerà l’ex Odeon in un teatro per la musica di alto livello. Tra i progetti anche il museo del volo, all’ex collegio aeronautico, che consentirebbe la fruizione dei mosaici razionalisti. In corso anche la valorizzazione della collezione Verzocchi: rimossa da palazzo Romagnoli, che ora ospita la biblioteca, dovrebbe trovare posto a palazzo Albertini in piazza Saffi, ma prima passerà un periodo intermedio negli spazi del San Domenico.

Tanti tasselli – e ce ne sarebbero molti altri ancora – che compongono un quadro complesso e sfaccettato, di cui sono elementi fondamentali anche associazioni e collettivi, che, insieme, consente di guardare con fiducia alla prossima sfida: la candidatura a ‘Capitale della cultura 2028’.