LORENZO MONACHESI
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Lucrezia Ercoli e la pop-filosofia: "Vogliamo coinvolgere tutti, il nostro è un ritorno alle origini"

La direttrice artistica di Popsophia: dalla tv al web, l’algoritmo ha sostituito il telecomando "Cerchiamo un linguaggio giusto: non troppo tecnico, ma neanche slogan che banalizzano".

La direttrice artistica di Popsophia: dalla tv al web, l’algoritmo ha sostituito il telecomando "Cerchiamo un linguaggio giusto: non troppo tecnico, ma neanche slogan che banalizzano".

La direttrice artistica di Popsophia: dalla tv al web, l’algoritmo ha sostituito il telecomando "Cerchiamo un linguaggio giusto: non troppo tecnico, ma neanche slogan che banalizzano".

"Se vogliamo pensare ai nostri tempi, dobbiamo oggi decifrare anche gli spettacoli di massa". È quanto dice Lucrezia Ercoli, dal 2011 direttore artistico di Popsophia, l’unica associazione italiana dedicata alla pop-filosofia, un genere culturale internazionale che coniuga la riflessione filosofica con i fenomeni pop della cultura di massa. "In fondo – riflette – siamo tornati alle origini della filosofia, quando, per esempio, Aristotele parlava degli spettacoli dei suoi tempi, delle tragedie, ed erano momenti in cui venivano coinvolti tutti".

Ercoli, quanto la pubblicità o certe serie televisive hanno cambiato il linguaggio, facendo diventare frasi comuni determinati slogan?

"Sono i fenomeni di massa, qualcosa che riguarda l’immaginario condiviso da milioni di spettatori che negli anni hanno ascoltato e seguito le stesse cose. Popsophia si interessa di fenomeni che hanno cambiato anche il modo di parlare, sono entrati nel vocabolario quotidiano".

Come spiega il crescente successo di film, serie e programmi di cronaca nera capaci di catturare una vasta audience?

"La violenza è sempre connessa allo spettacolo, da questo punto di vista televisione e internet non hanno fatto che aumentare questa tendenza umana, ad alimentare quella morbosità che spinge a vedere il male altrui. Del resto lo spettatore andava al Colosseo per vedere all’opera i gladiatori, gli articoli più letti sono quelli di cronaca nera, quelli che raccontano gli omicidi o gli incidenti e non per niente rallentiamo quando c’è un incidente".

Ma qualcosa non è cambiato nel tempo sotto questo punto di vista?

"Fino agli anni Duemila la televisione ha avuto un fortissimo impatto collettivo, nell’ultimo periodo la cultura digitale, il web tanto per intenderci, ha spezzettato il pubblico. Siamo passati dal dominio del telecomando a quello dell’algoritmo".

Cosa le ha insegnato la Popsophia?

"Trovare il linguaggio giusto, non banalizzante fatto di slogan, ma nemmeno uno troppo tecnico, eccessivamente accademico, solo per addetti ai lavori. Occorre raggiungere tutti e l’aspetto più gratificante è quando gli spettatori mi dicono di essere tornati a casa avendo scoperto qualcosa di nuovo, di avere qualcosa su cui pensare. Nel frattempo Popsophia è cambiata, riuscendo a catturare l’interesse dell’ascoltatore non tanto per l’ospite ma per la capacità di arricchire l’ascoltatore per la proposta. Io mi sento arricchita dal lavoro fatto per produrre i vari appuntamenti".

E cosa ha scoperto di nuovo su Raffaella Carrà, che è stata al centro di una sua proposta?

"Ho studiato il personaggio, la rivoluzione culturale che c’è dietro e adesso il brano Tuca tuca non lo ascolto più con l’orecchio di un tempo, ma ne percepisco la complessità".

Si è mai raccomandata con gli ospiti, magari noti accademici, di utilizzare un linguaggio semplice, capace di arrivare al cuore della gente di qualsiasi estrazione?

"All’inizio si invitava un ospite che inevitabilmente faceva se stesso, portava il suo linguaggio e non era semplice interagire".

Allora è l’ospite che adesso deve adattarsi a Pospsohia?

"Ora spesso produciamo le serate assieme a loro, con i quali condividiamo i tempi, la scaletta, c’è da adattarsi al contesto ben sapendo che abbiamo di fronte un pubblico variegato".

Qual è il giornalista che ha la capacità di effettuare profonde riflessioni ma anche di saperle comunicare?

"Faccio due nomi, di cui uno è giornalista, che hanno questa capacità. Uno è il vostro Leo Turrini con il quale abbiamo proposto diversi appuntamenti su Lucio Battisti, Valentino Rossi e sulle figure Panini. Lui ha la capacità di arrivare a tutti, dà all’aneddoto una profondità culturale capace di intrattenere e interessare. Poi penso a Simone Regazzoni, un filosofo con il quale abbiamo realizzato tanti spettacoli; lui è un intellettuale ma sa utilizzare l’arte della parola in modo teatrale ed è una caratteristica rara".

Qual è la bussola per orientarsi tra i tanti stimoli a cui si è bombardati e proporre degli appuntamenti che possano calamitare l’attenzione degli spettatori?

"La rotta è difficile da trovare tra tanti input. Il tentativo è individuare un tema che è come una calamita capace di attrarre molti ospiti per definire l’argomento. A Civitanova il tema sarà Retromania, dal 3 al 6 luglio esploreremo la nostalgia del passato".

Cosa trova interessante nei giornali?

"Leggo con attenzione la terza pagina dove ci sono le recensioni su spettacoli, dove presentano gli appuntamenti. Sono anche appassionata ai temi politici sia di locali sia nazionali".