CARLO RAGGI
il Carlino: 140 anni di storia

L’uomo dei terremoti. Prevedeva le scosse, ma la scienza lo snobbava

Raffaele Bendandi, sismologo autodidatta. Moro e Cossiga lo cercavano. Il nostro cronista lo incontrò nella sua casa di Faenza. E questo è il suo racconto.

Raffaele Bendandi, sismologo autodidatta. Moro e Cossiga lo cercavano. Il nostro cronista lo incontrò nella sua casa di Faenza. E questo è il suo racconto.

Raffaele Bendandi, sismologo autodidatta. Moro e Cossiga lo cercavano. Il nostro cronista lo incontrò nella sua casa di Faenza. E questo è il suo racconto.

"Affermazioni di Bendandi sul tremendo scoppio di Varese", "Bendandi registra un violento terremoto", titoli ben evidenti sul Giornale dell’Emilia, testata provvisoria in sostituzione de il Resto del Carlino, del 7 marzo e 18 aprile 1948; piccolo campionario, ma sintomatico per quel periodo storico ancora costellato delle rovine della guerra.

Il primo si riferiva a una tragica esplosione in un’azienda varesina produttrice di esplosivi, che seguiva di pochi giorni un analogo evento in Belgio, sulle cui cause Raffaele Bendandi, "fra i figli più illustri di Faenza", come lo definì, alla sua morte, a 86 anni, nel ‘79, l’allora sindaco Veniero Lombardi, ipotizzava l’incidenza della "perniciosa influenza della perturbazione cosmica da me segnalata fin dal 19 febbraio" e dovuta alla parossistica attività solare; il secondo articolo era relativo a un terremoto "di ampiezza tale da spezzare i pennini dei sismografi" verificatosi a una "distanza di circa seimila chilometri da Faenza".

Decaduto l’avvertimento di Mussolini, nel 1927, di non pubblicare previsioni di terremoti, dal dopoguerra in poi i comunicati di Raffaele Bendandi (1893-1979), e le interviste, trovavano sempre ospitalità sui giornali. Ignorato dalla scienza ufficiale (ma ammesso a membro della Società sismologica italiana), Bendandi era diventato per i giornalisti "l’uomo dei terremoti": comunicava subito intensità e localizzazione (approssimata) delle scosse registrate dai sismografi autocostruiti e installati nel suo osservatorio di via Manara, ma soprattutto metteva in guardia in anticipo sia per i "possibili eventi sismici" sia per gli effetti delle "perturbazioni magnetiche" in occasione delle ricorrenti abnormi attività del sole, incidenti anche sugli eventi meteorologici (di qui le sue molteplici previsioni meteo a lunga scadenza). Esempi ricorrenti collegati alle perturbazioni solari erano per Bendandi i frequenti incidenti aerei e l’aumento delle manifestazioni criminali.

La narrazione giornalistica fissa al 1923 il punto di svolta per la fama nazionale di Bendandi (Mussolini lo aveva appena nominato cavaliere): un inviato del Corriere della Sera venne a Faenza per intervistarlo, ma la scoperta di trovarsi di fronte a un autodidatta (Bendandi era intagliatore del legno) raffreddò l’intervista.

Allora ci fu un accordo, il sismologo fece una previsione a trenta giorni e la consegnò a un notaio. I quattro terremoti indicati si verificarono e fu il boom di notorietà tanto che anche l’imperatore del Giappone Hirohito volle incontrarlo. Per Bendandi la forza scatenante dei terremoti era da ricercarsi nella sommatoria delle forze gravitazionali dovuta a particolari congiunzioni fra sole, pianeti e luna; e proprio studiandone le orbite era in grado di ipotizzare eventi tellurici di notevole rilevanza nell’arco di diversi decenni futuri. In virtù di quegli studi, Bendandi si rese anche conto che certe perturbazioni dovevano essere innescate da corpi celesti ignoti: quattro, oltre Nettuno, annunciati nel 1929, uno fra Mercurio e il Sole, annunciato nell’estate del 1968 e che battezzò Faenza. Intuizioni in parte smentite e in parte corrette dalle scoperte che nell’ultimo mezzo secolo hanno individuato numerosi satelliti di pianeti solari. Ho conosciuto Raffaele Bendandi alla fine degli anni Sessanta; nella casa-laboratorio non c’era il telefono e per avere notizie occorreva andare a suonare al campanello: suonate brevissime per via della costante, leggera scossa elettrica.

"Sa i’el" (cosa c’è?) interloquiva (quando ne aveva voglia) affacciandosi alla finestra adiacente all’ingresso. Era una sua ‘virtù’ quella di mettere subito a disagio gli ospiti a maggior ragione se poco graditi. Sono entrato (e non era facile...) più di una volta nell’appartamento (da tempo trasformato in museo) in cui Bendandi viveva da solo dopo la morte della sorella: una stanza trasformata in biblioteca con una tavola e due sedie, la camera da letto, il laboratorio con gli strumenti. Un ambiente freddo anche in estate, figuriamoci in inverno, quando spesso lasciava aperta la finestra da cui si era affacciato. D’altronde ben sopportava il freddo, non conosceva cappotto, solo giacca e sciarpa, al più la giubba di cuoio quando in bicicletta andava alla tavola calda di corso Mazzini e faceva riempire di minestra il pentolino in alluminio.

Quando era in buona parlava come un fiume in piena, a volte usando un linguaggio criptico, spesso lanciando frecciate ai "soloni della scienza" che proprio non lo consideravano, anzi lo consideravano uno stregone (per questo, per anni chiuse ogni rapporto con la Rai). Per interrompere i suoi lunghi discorsi che con me si riferivano soprattutto agli esperimenti con l’inclinografo nella grotta del Re Tiberio, sui gessi, gli chiedevo di Frate Indovino. Allora lui andava alla biblioteca, estraeva una cartellina ingiallita contenente fogli del calendario e pagine di giornali "Tal’ a què..." (ecco qua) e mostrava le sue previsioni stampate sul calendario e le notizie degli eventi previsti e accaduti, stampate sui quotidiani. E sorrideva! In quegli anni privi di osservatori in rete, Bendandi fu l’insostituibile riferimento istituzionale in occasione dei terremoti.

Lo contattavano questure, prefetture, ministri. Lo contattò Cossiga dopo il disastroso terremoto del Friuli del ‘76, lo contattava spesso Aldo Moro che voleva sapere tutto delle macchie solari e delle perturbazioni magnetiche. Nel 1931 Raffaele Bendandi aveva consegnato due plichi con i propri studi e le previsioni all’Accademia dei Lincei e all’Accademia Pontificia delle scienze. Potevano essere aperti solo dopo la sua morte, ma quello ai Lincei, con le previsioni, risultò disperso a causa dei bombardamenti e l’altro conteneva solo due fogli sull’attività undecennale del sole. E così il segreto mantenuto per anni è finito nella tomba con lui: e sono sicuro che è quanto voleva.