
L'immagine simbolo dell'alluvione del 16 maggio 2023
L’alluvione del 16 maggio 2023 segnò a Faenza, così come in gran parte della Romagna, un prima e un dopo. Qui non non esistono, o meglio non esistono più, il ‘prima della pandemia’ e ‘dopo la pandemia’: è il maggio 2023 l’evento spartiacque. L’alluvione si insinuò ovunque: in migliaia di case, nelle scuole Pirazzini, nell’asilo Il Girasole, dentro il Museo Tramonti e il Museo Zauli, ma anche nella biblioteca Manfrediana, nella palestra degli olimpionici della lotta greco-romana, nella sede della Società ciclistica faentina, nel giardino Torricelli, nel palazzo che ospita la facoltà di Infermieristica, in due scuole di musica, spalancando ferite in ciascuna delle sfumature dell’identità cittadina.
Vari di quei luoghi sono stati colpiti tre volte: con la prima alluvione del 2 maggio 2023, con quella più grave del successivo 16 maggio, e infine con quella del 18 settembre 2024. In quella fatidica primavera 2023 Faenza era diventata una sorta di ‘capitale operativa’ dell’Italia: qui erano concentrati interi reparti dell’esercito, della Protezione civile, dei vigili del fuoco, della Guardia di Finanza, perfino della Marina militare, che in un’operazione senza precedenti dovette mandare mezzi e uomini della Guardia costiera a intervenire in una città posta ampiamente nell’entroterra.

A supporto arrivarono unità anche da Francia, Belgio, Slovenia e Slovacchia. La seconda metà di maggio fu a Faenza un periodo difficile da dimenticare, in negativo ma anche in positivo: l’intera città era un cantiere popolato da volontari arrivati da tutta Italia, che di sera si davano appuntamento in piazza del Popolo in quella che era diventata una fangosa discoteca all’aria aperta. Che la portata del fenomeno fosse tale da modificare per sempre la geografia della Romagna è un’evidenza che prese poi corpo gradualmente nel corso dei successivi due anni, quando si capì che davanti alla crisi climatica ricostruire tutto ‘dov’era e com’era’ sarebbe stato una scommessa persa in partenza.
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Nel disegnare la Romagna del futuro il commissario straordinario per la ricostruzione e la Regione sono voluti partire proprio da Faenza, mostrando per primi ai componenti di una delegazione degli alluvionati l’assetto messo a punto non per combattere, ma per convivere con gli scenari cui il cambiamento climatico darà vita: in futuro l’intera metà meridionale di Faenza, in direzione dell’Appennino, sarà cinta da una rete di aree di tracimazione e casse d’espansione – tre alle porte della città al fianco del corso del Lamone e di quello del Marzeno, e due più a monte, sempre a servizio dei due fiumi. A queste si aggiungerà poi un’area allagabile più a nord, nelle campagne tra Faenza e Reda. Si tratta in qualche modo di riportare indietro le lancette della storia, restituendo all’acqua porzioni di Romagna che le bonifiche sottrassero alle paludi nei secoli passati.

A Faenza c’è un punto in cui l’eredità dell’alluvione del 2023 è plastica più che altrove, un luogo in cui è una evidenza con cui i faentini fanno i conti ogni giorno. Il Ponte delle Grazie, che congiunge il centro storico e il Borgo, parte dell’asse della via Emilia storica, erede del primo ponte sorto sul fiume in epoca romana, è uno dei simboli del disastro di due anni fa: il suo futuro abbattimento costituisce, insieme al crollo del ponte della Motta, nel bolognese, il singolo danno di maggiore entità inferto dal dramma del maggio 2023. Al suo fianco è nel frattempo sorto un ponte Bailey – realizzato in appena cinquanta giorni a partire dal 29 febbraio 2024, a tempi di record – inizialmente pensato per essere provvisorio, ma che presumibilmente rimarrà parte del panorama cittadino ancora a lungo. Il Ponte delle Grazie, da allora transitabile alle auto solo ad una corsia, non è la sola fra le infrastrutture maggiori a scontare le ferite dell’alluvione: l’intera provinciale della Valletta, che collegava Brisighella e Casola Valsenio, è infatti stata divorata da una frana, mentre la provinciale che collega sempre Brisighella a Marradi sussiste su un grosso smottamento all’altezza di San Cassiano, borgo rimasto isolato per mesi dal resto della Romagna nel 2023.
Il futuro della Romagna, per la sua conformazione in prima linea nella lotta contro gli effetti della crisi climatica, è dunque quello di un luogo dove terra e acqua si incontrano senza scontrarsi, cercando l’equilibrio più efficace.
Gli interrogativi e gli aspetti in cui ancora domina l’incertezza sono molti; uno su tutti è quello relativo alla ferrovia che congiunge Faenza a Firenze (fra le poche sopravvissute in Italia a collegare le due sponde dell’Appennino): riuscirà a essere messa in sicurezza in maniera definitiva?
Sono proprio la collina e la montagna i territori in cui l’emergenza non è mai terminata: i più colpiti sono i giovanissimi che ogni mattina salgono sui bus attesi da un lungo viaggio su strade in attesa di robuste manutenzioni. Per territori come Brisighella, Riolo Terme e Casola Valsenio, che sembravano soffrire in misura minore delle difficoltà della vita in montagna, dal 2023 anche qui ha improvvisamente fatto capolino la crisi delle aree interne: una svolta della storia complicatissima da invertire.