
Il Resto del Carlino venne fondato il 21 marzo 1885: festeggiamo 140 anni di pagine scritte insieme
Viaggio al termine della notte, viaggio di duecentodiecimila chilometri: cinque volte il giro del mondo. Se ogni pagina che stampiamo venisse stesa a terra, e se il rituale si ripetesse per 365 giorni, in un anno si coprirebbe questa distanza grazie ai cento milioni di copie che escono dalle rotative. Pensate in 140 anni quanti mondi sono stati scritti, stampati, scoperti. E nel 1885, quando il Resto del Carlino nacque a Palazzo Pallotti, in via Garibaldi 3 a Bologna, i numeri non erano di certo quelli che vi abbiamo raccontato e che includono, in un anno di produzione, diecimila bobine di carta, trecentomila chili di inchiostro e trecentomila metri quadrati di lastre. Nessuno, in quegli anni così diversi da oggi – gli anni di espansione dell’Europa, dell’occupazione dell’Eritrea, di Agostino Depretis e Francesco Crispi, di Friedrich Nietzsche e di ‘Così parlò Zarathustra’ – pensava che, grazie a Internet, gli articoli potessero venire letti (o guardati con video e reel sui social network, ma anche ascoltati, nella versione podcast) alle Isole Fiji o nello spazio.
Lo speciale sui 140 anni del Carlino
La nascita
Buon compleanno, Carlino. Oggi sono 140 anni e il giornale è in tutt’Italia, con redazioni dall’Emilia-Romagna alle Marche e una sede centrale a Bologna, in via Mattei 106, grazie alla famiglia Monti Riffeser. Nel marzo 1885, sotto le Due Torri, i fondatori Cesare Chiusoli, Alberto Carboni, Francesco Tonolla e Giulio Padovani si muovevano a pianterreno oltre un cortile, in un locale con tre camere. Fulvio Cantoni descriveva così il luogo d’inizio di un lungo cammino: “Erano stanze disadorne e squallide, l’una aveva luce da via del Cane, l’altra dal cortile; la finestra della prima era allora alta dal suolo oltre due metri e ciò produceva alquanta oscurità, che peraltro veniva spesso fugata, anziché dalla scarsa illuminazione a gas, priva di incandescenza, dagli sprazzi di luce intellettuale che scaturivano dagli ‘Sprizzi, spruzzi e sprazzi’ e dai lampi di genio degli articoli di fondo. La sera, alle 23, il portone veniva chiuso e si accedeva agli uffici solo dalla porticina in via del Cane”.
Il nome
Il Resto del Carlino nacque con una duplice funzione scopertamente dichiarata nella sua testata: una più nobile e duratura di critica e di moralizzazione e una, più bottegaia e provvisoria, di soccorso ai tabaccai. Se prima del 1885 il carlino fu soltanto una moneta (con cui si pagava appunto il sigaro, e il resto diventarono le nostre colonne), dopo fu esclusivamente un giornale, il nostro giornale. Così il nostro Dino Biondi.
I numeri
Dati 2025: la nostra rotativa gira a 37.500 copie all’ora, la carta viaggia a 45 km/h. Una copia al secondo. Un miracolo che si ripete 359 notti all’anno, mentre i giornalisti, con l’avvento del web, non staccano mai. Sono seicento i colleghi tra redattori, corrispondenti, collaboratori e fotografi, attivi sia nelle testate cartacee sia nelle testate web. Poi ci sono i tipografi, i proti, gli operai, i tecnici, gli amministrativi, le segreterie, i dipendenti della concessionaria pubblicitaria Speed. E tutti gli altri, un ecosistema che ruota attorno a un nome che è anche un modo dire: dare il Resto d el Carlino significa dare la pariglia, non fare sconti.
I pionieri
Non esiste Carlino senza Bologna, ma non esiste Carlino senza i territori. E non esistono i territori senza i corrispondenti. I primi? Niccolini da Forlì e Gotti da Pieve di Cento. Rinaldo Sperati, ex garibaldino romagnolo, fu il primo non bolognese a essere assorbito nella redazione centrale. Poi ecco Ypnofero da Castel San Pietro, Ascanio da Faenza, Tartarin da Ancona, Decio da Imola. La prima firma al femminile fu ‘Miss Liza’ che, in realtà, era Chiusoli. La prima vera redattrice fu Febea, pseudonimo di Olga Ossani. Memorabile la sua corrispondenza con Gabriele D’Annunzio.
La punteggiatura
Leggendo il primo numero uscito, gli occhi più attenti notarono (e noteranno anche oggi) i tre puntini di sospensione fra il Resto e... del Carlino. Un segno di curiosità, anche di ironia, un tratto grafico che significa approfondimento e ricerca della notizia. Ma anche un vero e proprio veicolo emotivo. Cito Céline, secondo cui i tre puntini sono le traversine per i binari del métro émotif, curvati ad arte per portare i lettori dove si desidera. Inoltre, il punto interrogativo: il primo editoriale non ha titolo, ma proprio un punto interrogativo. Segno che “sta a sintetizzare la curiosità dei lettori riguardo al come e al perché della nostra pubblicazione”, scrivevano con un articolo collettivo “i redattori”.
Il Vate
Non si possono elencare tutti i grandi, prestigiosi e incredibili collaboratori, editorialisti e firme del Carlino. Ne scelgo uno fra tutti, protagonista della brillante stagione di Amilcare Zamorani alla guida del giornale: Giosue Carducci, il vate della terza Italia. Carducci elesse il Carlino come “il mio giornale”, tanto da arrivare a dire che “senza il Carlino non posso stare”.
La solidarietà
Infine, il ruolo sociale del nostro giornale. Giorgio Napolitano, allora presidente della Repubblica, durante una visita al giornale lo disse senza se e senza ma: “Il vostro quotidiano è una istituzione”. E un’istituzione ha dei doveri e un ruolo che è anche sociale. Il Carlino diede via a un crowdfunding ante litteram, pioneristico in Italia, con la sottoscrizione a favore dei figli delle vedove della Prima Guerra Mondiale, sul finire degli anni Dieci del secolo breve. Poi, dalla Basilica di Santo Stefano al Nettuno di Bologna fino al 2 agosto, ai terremoti d’Emilia e delle Marche, è stata una lunga e continua storia di solidarietà e aiuti. L’ultimo impegno è stato per l’Emilia-Romagna devastata dall’alluvione infinita, con il cuore grande dei cittadini e un documentario dal titolo ‘Ho visto il finimondo’ che hanno permesso di sistemare frane e adeguare scuole e palestre. Buon compleanno Carlino e grazie a voi lettori, nostri unici giudici.