
Un agricoltore di Castel Bolognese con una speciale ventola anti-gelo nei suoi campi
Cosa c’è dentro la parola Agrofuttura? C’è l’agricoltura, attività su cui i nostri antenati hanno forgiato la loro e la nostra identità umana. C’è il senso dunque della crescita, della nutrizione (e si parte da Bologna, non a caso la sede dell’Alma Mater, per andare nella Firenze capitale d’Italia, dell’arte e della storia), della famiglia, dell’industria. Ora della tecnologia, della previsione, della ricerca e, perché no, dell’intelligenza artificiale. C’è, soprattutto, il senso dell’essere. Futuro è una declinazione dell’essere, è il segno di qualcosa che ancora non esiste, ma che è già davanti a noi. In questo caso, dunque, ci sono la storia dell’agricoltura, del food, della trasformazione, di un intero comparto (pensate ad esempio al solo peso delle macchine agricole o del tema della gestione della risorsa idrica) e il domani di un mondo che non conosciamo. Sempre più complicato, a volte anche pauroso, ma appena a un passo da noi. Anzi, forse è già qui. Tra noi. Agrofutura, insomma, siamo noi: non solo agricoltori, allevatori, trasformatori, esportatori, comunicatori, ma anche utenti, fruitori, clienti. Uomini e donne: quanta humanitas (alla latina, il riconoscersi l’uno negli altri, anche quando relative differenze paiono ostacoli) c’è dentro il gesto che dalla terra finisce su una tavola. E questa humanitas è la chiave per sfruttare al meglio la rivoluzione digitale, non per temerla, come avrà modo di insegnarci anche Papa Leone XIV.
Benvenuti, dunque, ad Agrofutura. E benvenuti in queste pagine che vi porteranno sì nel grande festival organizzato dai giornali del gruppo Monrif che ha in Emilia-Romagna e Toscana cuori pulsanti, ma – attraverso i territori e le gemme più o meno nascoste – vi racconterà un intero Paese. Un po’ di numeri, in questi mesi dove l’incubo dei dazi ha monopolizzato la discussione: con un valore record aggregato di 12,2 miliardi di euro tra fresco e trasformato, l’ortofrutta italiana rappresenta la prima voce dell’export agroalimentare italiano, con un incremento quasi triplicato (+161%) nel giro di un ventennio. È quanto emerge da una analisi Coldiretti su dati Istat diffusa in occasione de Macfrut. E’ cruciale il ruolo di presidio del territorio rispetto ai pericoli legati al dissesto idrogeologico. Sui record pesano però i problemi legati alla concorrenza sleale delle importazioni e agli effetti dei cambiamenti climatici. E quante distonie ci sono: l’aspetto più evidente dei guasti causati dalla mancanza del principio di reciprocità è quello legato all’uso dei prodotti fitosanitari. Mentre negli altri Continenti si utilizzano pesticidi vietati da decenni in Europa, gli agricoltori italiani sono spesso in difficoltà nel difendere i propri raccolti a causa della mancanza di sostanze adeguate. Il tutto nonostante in Italia l’utilizzo di fitofarmaci si sia ridotto del 50% negli ultimi 30 anni. E’ solo una delle tante sfide. Seguiteci e le affronteremo insieme.