
Nella storia dalla porta principale, da più giovane di tutto il gruppo. Atalanta, Roma, Milan, Lazio: il grande castigatore delle big . Fermato sul più bello dall’infortunio, è rientrato per il trionfo in Coppa.
di Giovanni
Poggi
Sarebbe riduttivo definirlo l’uomo di Bergamo, quello che con un’incornata è riuscito a spezzare un incantesimo lungo 26 anni, facendo sorvolare al Bologna uno scoglio che per un’infinità di edizioni di Coppa Italia è stato insormontabile: dopo i quarti di finale mai, anche negli anni apparentemente più favorevoli. Ma la stagione di Castro non è stata soltanto il gol che ha fatto fuori dalla corsa verso l’Olimpico l’Atalanta del Gasp, regalando sogni d’oro al popolo rossoblù, ma è stata tanto, tantissimo altro ancora, nei giorni di luce come in quelli più bui.
Dal bolide vincente di Monza, primo crocevia dell’avventura di Italiano sotto le due Torri, al fastidioso e condizionante infortunio al piede, proprio nel momento più emozionante fin lì della sua carriera, segnato dalla prima chiamata del ct Scaloni in Nazionale. E proprio quando Santi il Bologna se l’era preso in mano, da riferimento centrale in un reparto che viaggiava a memoria e affettava le difese una dopo l’altra.
Vent’anni soltanto, ma già le spalle larghe per portarsi appresso un attacco da Champions, battezzato prima da Thiago e confermato da Vincenzo, che all’argentino non ha quasi mai rinunciato, se non per farlo rifiatare in un calendario da subito saturo e per i guai fisici di fine campionato. Como, Monza e Atalanta, le prime "vittime" del nuovo Lautaro, così come viene rinominato dopo un settembre da protagonista, con le sirene di mercato a risuonare da Milano a Casteldebole, e non solo. E mentre in Champions, per via anche della staffetta con Dallinga, fatica ad incidere, in Serie A la sua presenza è sinonimo di garanzia: quando segna o serve un assist il Bologna vince, o al massimo pareggia, e così sarà per tutto il resto della stagione.
Sì, Sartori e Di Vaio ci avevano visto lungo, strappandolo ad inizio 2024 alla concorrenza e al Velez Sarsfield, conteso da più pretendenti, mentre un anno dopo Santiago era diventato quasi imprescindibile per i rossoblù, nonché la guida principale del connazionale Dominguez, al quale in estate aveva fatto da Cicerone per le vie di Casteldebole, formando una coppia tutta argentina con vista sull’Europa.
Ne nascerà una bella amicizia, fuori e dentro il campo, dove intesa e chimica si notano da subito, anche in coppa, dove agli ottavi con il Monza si scambiano un gol e un assist a testa.
In parallelo, l’annata di Santi continua colpendo le big: la Roma all’Olimpico e l’Inter a San Siro, il Milan e la Lazio Dall’Ara. Quest’ultima il 16 marzo, prima della sosta e dei tormenti al piede, nel pomeriggio emblema della stagione, quando i rossoblù fanno tremare il campionato con una cinquina che rimbomba e che fa storia, dove c’è anche il suo zampino, ad oggi l’ultimo in assoluto.
Da lì comincerà un mini-calvario per Castro, utilizzato con il contagocce fino alla notte di Roma, la più importante da oltre 50 anni per Bologna.
Ma lì Santi è al suo posto, dall’inizio, due mesi dopo l’ultima volta, accanto ad Orso e Ndoye: l’artiglieria pesante che manda ko il Milan e i rossoblù di nuovo in paradiso.
Dieci gol in tutto, otto assist, il secondo migliore per numeri dietro ad Orsolini. Nella storia dalla porta principale, da più giovane di tutto il gruppo: vent’anni appena, ma la malizia da bomber navigato, spalle larghe e una ’garra’ infinita.