
Un esodo mai visto verso la capitale, nemmeno nello spareggio del 1964 o nell’ultimo trofeo conquistato sempre all’Olimpico dieci anni dopo. Le esperienze dei canestri a Barcellona e Monaco di Baviera nel 1998 e 1999.
Un esodo così, dalle Due Torri, non s’era mai visto. Le cronache del tempo – ma non c’è una grande precisione sui numeri dell’epoca – narrano di ventimila bolognesi partiti per la capitale nel giugno del 1964. Quel 7 giugno è rimasto celebre, nell’immaginario collettivo, grazie a il Resto del Carlino e alla verve di Luca Goldoni, giornalista e scrittore di razza, per l’Urlo della città. Altri ventimila, più o meno, sarebbero partiti dieci anni più tardi, sempre alla volta della Capitale nel maggio del 1974. Per festeggiare la seconda Coppa Italia della storia, conquistata sempre all’Olimpico, nella finale con il Palermo.
Sempre a Bologna, ma cambiando sport, tornano alle mente le final four di Coppa dei Campioni. A Barcellona, aprile 1998, c’è un muro umano bianconero: seimila fedelissimi ed entusiasti per conquistare la prima Champions firmata Danilovic e Rigaudeau, Savic e Sconochini, Abbio e Crippa, Nesterovic e Frosini, Binelli e Morandotti, allenati da Ettore Messina.
Un anno dopo a Monaco di Baviera, sempre nel mese di aprile, i bolognesi in trasferta lungo la Romantische Strasse, sono diecimila o giù di lì. A Monaco di Baviera si gioca il derby di Basket City, più lontano da Piazza Maggiore.
E oggi? Migliaia in viaggio, ma mai come in questa occasione. Al posto di carbonara o amatriciana (o gricia), ai tavoli della Capitale saranno ordinati tagliatelle, lasagne e tortellini.
Ma al di là del semplice aspetto culinario i trentamila, con i loro sogni e le loro storie, vogliono tornare a provare un’emozione che ormai viene tramandata da nonni, zii e genitori. Ed è diventato un ricordo sfumato, ai confini tra mito e leggenda.
C’era un Bologna che vinceva e lo faceva con pieno merito. Comunque vada a finire questa avventura, però, i trentamila passeranno direttamente dalla cronaca spicciola – quella di questi giorni – alla storia con la S maiuscola. Tra cinquant’anni sui social, più che sui media considerati tradizionali, si parlerà di questa clamorosa chiamata alle armi (pacifica s’intende) di una tifoseria che vorrebbe godere con Vincenzo Italiano, più che godère.
Trentamila persone, altrettante storie di chi vive, soffre e palpita con una maglia rossoblù sulla pelle. Tante storie, alcune singolari, che meritano di essere raccontate. Quella di Alice, per esempio, che ha 23 anni, che arriverà da Quito, in Ecuador. Alice, che di cognome fa Corvinelli, è bolognesissima. E’ finita in Ecuador perché ha scelto di svolgere un anno di servizio civile per lo stato italiano. Volontaria per un progetto umanitario dall’altra parte del mondo. Ora a chiesto e ottenuto dai suoi dirigenti quattro giorni di permesso. L’ha spiegato ai suoi bambini – il Bologna è una fede – e circumnavigherà il mondo per essere presente all’Olimpico. Con le sue speranze. Dai suoi bambini, quelli che assiste per il progetto umanitario, ai suoi ragazzi – quelli che indossano con orgoglio la maglia rossoblù – il passo può essere davvero breve.
Alice è figlia di Edoardo detto Edo, uno che il sangue non ce l’ha né rosso né blu, ma semplicemente rossoblù. Edo è stato (come tanti altri, è chiaro) a Lisbona, nei mesi scorsi, nell’ambito della trasferta Champions in casa dello Sporting. Edo ha una faccia simpatica, una parlantina sciolta e la capacità di interagire con qualsiasi essere umano. E così, nel viaggio di ritorno, dal Portogallo, s’è consumato un insolito gemellaggio tra fede religiosa e fede calcistica. I fedeli, accompagnati da Padre Mario, reduci da un pellegrinaggio a Fatima mescolati, sul volo, con i supporter integerrimi della band di Italiano (non solo Edo, ma anche Fabrizio Fantini. Così tra una parola e l’altra è nata un’amicizia. I pellegrini (in questo caso rossoblù) saranno ospitati da Padre Mario e dai suoi confratelli per un momento di preghiera. Oggi, 13 maggio, vigilia della finale, è anche l’anniversario numero 108 della prima apparizione della Madonna ai pastorelli.
C‘è poi la storia di Stefano, che aveva un fratello, Massimo – scomparso prematuramente a 37 anni, nel 2007 – grandissimo tifoso del Bologna. I casi e gli incroci della vita hanno portato Stefano, classe 1974 a lavorare a Melbourne, in Australia.
In onore del fratello scomparso, che sarebbe stato uno dei trentamila del Dall’Ara. Così, Stefano si è sentito in dovere di partire. Anche lui, volo transoceanico dall’Australia alla capitale. Perché il Bologna si ama. Sempre. Come i fratelli che non ci sono più