
Dai dubbi del precampionato all’avvio senza vittorie: l’inizio per i rossoblù di Italiano è stato difficile. L’avventura europea è costata molto, ma si è rivelata decisiva per forgiare il carattere della squadra.
di Massimo
Vitali
Da Valles al prato, trionfale, dell’Olimpico. Passando per Como (viaggio all’inferno con ritorno), Anfield (il mito), il Gewiss Stadium (trampolino di gloria per la Coppa Italia) e il Castellani (la gita fuori porta in cui staccare il biglietto per il Sogno). Il film della stagione rossoblù è un viaggio di dieci mesi nella gloria disseminato qua e là di qualche inciampo non previsto, ma umano, come tutti gli inciampi del pallone. In realtà la stagione degli affanni è stata breve, nonché fisiologica: prova tu a ereditare una macchina più o meno perfetta che in estate aveva perso, oltre che il pilota (Motta), tre dei suoi più nobili ingranaggi (Calafiori, Zirkzee e Saelemaekers).
Quando a fine luglio Vincenzo Italiano fa la conta degli abili e arruolabili sul campo di Valles non può partorire pensieri sereni. Non è sereno, né pronto, un Bologna che in precampionato costringe Beukema a far coppia con l’implume Ilic e che, quando cominciano le partite vere, sconta il ritardo di condizione, o la ruggine, degli innesti del mercato estivo.
L’avvio in campionato è stentato. Tra i due 1-1 casalinghi con Udinese e Empoli cade il tonfo di Napoli (0-3). Anche se i sorci verdi Italiano li vede a Como, il 14 settembre, quando per un’ora i rossoblùi rischiano di naufragare nel lago sotto i colpi dei ragazzi scatenati di Fabregas. Ma la squadra si rianima nell’ultima mezzora, da 0-2 a 2-2 è un attimo e nel recupero i rossoblù sfiorano il colpaccio. Il messaggio è chiaro: al netto delle comprensibili difficoltà di un gruppo chiamato a masticare un calcio nuovo, è un Bologna ancora padrone del proprio destino.
Il battesimo in Champions League, il 18 settembre al Dall’Ara con lo Shakhtar, è però un vorrei ma non posso e finisce 0-0. Il seguito nella Coppa dalle grandi orecchie è un doppio tuffo nella Storia, prima ad Anfield, casa del Liverpool, e poi al Villa Park, la tana dell’Aston Villa: in entrambi i casi tanti elogi ma 2-0 per gli altri. In campionato però è un Bologna che dà convincenti segnali di crescita. La prima vittoria arriva il 22 settembre a Monza (2-1) e l’Atalanta inchiodata al pari al Dall’Ara (1-1) nel turno successivo, nonostante un tempo in inferiorità numerica, è il primo segnale lanciato alle big. Orsolini si è già sbloccato, Castro pure.
A ruota li seguono Odgaard, che da ottobre Italiano reinventa trequartista, ma soprattutto Ndoye, che il 30 novembre al Dall’Ara firma una doppietta al Venezia (3-0). In campionato è un Natale di gloria, col sesto posto agganciato a pari punti con la Juve. E pazienza se il San Silvestro è indigesto per il harakiri interno col Verona (2-3). Da lì in poi comincia una striscia di 7 risultati utili, che s’interromperà solo con lo scivolone del Tardini col Parma (0-2) il 22 febbraio.
Intanto a dicembre negli ottavi di Coppa Italia i rossoblù liquidano il Monza con un secco 4-0. Dallinga dà segnali di risveglio e comincia a brillare l’astro Dominguez. Ma a gennaio, a qualificazione purtroppo compromessa, è tutto il Bologna a brillare in Champions. La vittoria in rimonta col Borussia Dortmund, il 21 gennaio al Dall’Ara, non è solo una prima volta storica ma in qualche modo prepara l’impresa di Bergamo, dove il 4 febbraio i rossoblù eliminano l’Atalanta ai quarti di Coppa Italia grazie a un’incornata di Castro. La Juve dell’inviso Motta fa un regalone inchinandosi all’Empoli nel tabellone della Coppa. Risultato: in semifinale c’è la doppia sfida con i toscani, che si trasforma in una cavalcata trionfale verso l’Olimpico.
Il 1° aprile al Castellani da Bologna partono in cinquemila. La gara dell’Empoli invece non parte mai: 3-0 per Orsolini e soci e sfida di ritorno quasi platonica, il 24 aprile al Dall’Ara, con vittoria per 2-1. Italiano punta tutte le energie residue sulla finale dell’Olimpico, dove ad attendere i rossoblù ci sono trentamila bolognesi e un Milan che cinque giorni prima in campionato ha tramortito in rimonta i rossoblù, compromettendogli definitivamente il quarto posto.
Il 14 maggio a Roma il capolavoro lo firmano Ndoye, che inchioda il gol dell’1-0 finale, e Italiano, che stravince la partita a scacchi con Conceicao. È apoteosi, con la Coppa nazionale alzata a 51 anni di distanza dall’ultima volta e con un Olimpico colorato di rossoblù che sembra la succursale del Dall’Ara. E pazienza se il campionato si chiude con tre sconfitte che negano la chance di un bis in Champions. Coppa Italia vuol dire biglietto per la prossima Europa League. Se ce lo avessero detto a luglio, pur di vivere un sogno così avremmo fatto una firma lunga da Valles all’Olimpico.