GIUSEPPE TASSI
Coppa Italia

L’uomo della gavetta ha stregato Bologna e fatto scordare Motta

Ha riportato i rossoblù in corsa per la Champions e in finale di Coppa dopo 51 anni. All’Olimpico vuole prendersi la sua rivincita dopo le tre delusioni con la Fiorentina.

Ha riportato i rossoblù in corsa per la Champions e in finale di Coppa dopo 51 anni. All’Olimpico vuole prendersi la sua rivincita dopo le tre delusioni con la Fiorentina.

Ha riportato i rossoblù in corsa per la Champions e in finale di Coppa dopo 51 anni. All’Olimpico vuole prendersi la sua rivincita dopo le tre delusioni con la Fiorentina.

È un Italiano vero e sta guidando il Bologna nel territorio dei sogni. Si chiama Vincenzo ed è nato a Karlsruhe in Germania pochi mesi prima che i genitori, emigrati di seconda generazione, decidessero di ritornare alla natia Sicilia, precisamente nel borgo di Ribera, un comune della provincia di Agrigento che oggi conta 17 mila abitanti.

Il viaggio alle radici di Italiano spiega tanto della sua storia e del suo carattere intriso di forza, tenacia, desiderio di emergere. Un uomo del profondo Sud deciso a risalire la china di una vita subito in salita, come le pendici della sua Ribera.

Oggi lo chiamano Montalbano per la crapa pelata, le origini sicule e la scaltrezza strategica. Ma pure benzinaio per alludere a quel suo look essenziale fra i tanti bellimbusti della panchina che sfoggiano giacca, cravatta e capelli impomatati.

Lui non si cura del look, pensa alla sostanza del suo calcio, all’aggressivita come arma vincente per rubare l’oro agli dei e guadagnarsi un posto fra le grandi del campionato italiano.

Vincenzo sa che ogni traguardo bisogna sudarselo con l’applicazione di un frate trappista e la furbizia di Ulisse. Ha sempre fatto così, fin da quando cominciò a tirare calci nella sua Ribera. Era un bravo centrocampista di regia, una sorta di Freuler piazzato davanti alla difesa. Ma con licenza di uccidere, di scagliarsi all’improvviso verso l’area avversaria per sorprendere la difesa e trovare il gol.

In questo piccolo identikit tecnico c’è tutto il succo della sua filosofia pallonara, che l’ha condotto a una crescita lenta e costante, prima come giocatore e poi come tecnico. Dal Trapani al Verona, dal Chievo al Padova, il suo percorso è quello di un giocatore di sostanza: pochi fronzoli e tanta carne al fuoco. Nel palmares di calciatore ci sono due promozioni in Serie A (98-99 col Verona, 2007-2008 col Chievo). Sono sempre successi sofferti, guadagnati con lacrime e sudore, come quelli che conquista da allenatore: la promozione in B con il Trapani, l’ascesa in Serie A con lo Spezia, che diventa trampolino di lancio verso la Fiorentina. Ed è proprio aldilà dell’Appennino che si consolida l’italiano di oggi , l’allenatore capace di riportare i viola in Europa (due finali di Conference League perdute) e in finale di Coppa Italia, mantenendo sempre la squadra in ottime posizioni di classifica.

L’approdo a Bologna e la magnifica sintonia con Sartori, il re del mercato che lo apprezza dai tempi del Chievo, permettono a Vincenzo di giocarsi al meglio la delicata eredità di Thiago Motta e di entrare lentamente in sintonia con una città scettica e diffidente al primo impatto.

Ma Montalbano nostro è un lottatore, uno che non si sgomenta mai davanti alle difficoltà. Le partenze di Zirkzee, Calafiori e Saelemaekers sembrano aver lasciato un vuoto incolmabile nel telaio del Bologna che nasce. E invece questo bravo artigiano del pallone si mette all’opera tessendo la sua tela, sperimentando soluzioni, cercando equilibri sempre più solidi. Vuole un calcio aggressivo, con pressing e linea difensiva altissimi, gioca sempre uno contro uno alla maniera dell’Atalanta e pretende un possesso palla costante e movimenti collettivi dell’intera squadra.

Il nuovo Bologna digerisce a fatica la lezione e a ottobre è tredicesimo in classifica fra mille dubbi.

Ma Italiano sa che il tempo, la tenacia e il suo fiuto da stratega lo premieranno. E così poco a poco la squadra mette le ali, decollando fino al quarto posto che vale la Champions e conquista, passo dopo passo, la finale di Coppa Italia contro il Milan. La sublimazione del percorso è in due gesti tecnici che ben simboleggiano lo spirito sfrontato della squadra: il gol di tacco di Ndoye al Napoli e la rovesciata volante di Orsolini che inabissa l’Inter in un Dall’Ara in delirio.

Alla base del percorso miracoloso di Italiano c’è un gruppo affiatatissimo che si riconosce nel suo allenatore, una squadra che mette a profitto anche il complicato cammino in Champions per acquisire forza e consapevolezza. Lo schema 4-2-3-1 con Freuler perno centrale si rafforza con l’invenzione di Odgaard trequartista , Orsolini segna gol a valanga, Ndoye sa essere ala imprendibile e cannoniere, mentre la difesa si cementa intorno alla coppia Lucumi-Beukema. Gli esterni raddoppiano la qualità con Dominguez e Cambiaghi e Miranda diventa uomo assist con i suoi cross al bacio.

Ma la carta vincente di Vincenzo è la perfetta sintonia con la squadra, tanto che le seconde linee di sentono parte integrante del progetto, preziose quanto i titolari. E poi c’è il rapporto specialissimo con il Dall’Ara. Il popolo del tifo ama oggi in modo viscerale questo allenatore che non sa nascondere le emozioni, che festeggia la vittoria come un ragazzo della curva, che calcia il pallone fra la gente prima che Lucio Dalla intoni “L’anno che verrà “ in uno stadio in amore.

Per completare l’opera, per correre verso un domani che nessuno immaginava così glorioso prima dell’era Saputo, manca una vittoria, un trofeo che il Bologna insegue da 51 anni. In quella Coppa Italia da contendere al Milan non c’è solo il pass per l’Europa ma anche la consacrazione di Italiano come allenatore vincente dopo tre finali perse con la Fiorentina.

È un percorso, quello di Vincenzo, che richiama da vicino la nemesi di Gasperini, trionfatore con l’Atalanta in Europa League dopo tante occasioni mancate. Il ragazzo di Ribera non ha perso la sua sana fame, ha una voglia matta di finire la scalata verso la gloria. Per cominciarne un’altra, alla conquista dell’Europa, con il Bologna di Saputo, l’uomo dei sogni impossibili che diventano realtà.