Ndoye, il graffio. Un gol che vale tutto. Così Dan ha aperto le porte della storia

La sua rete decisiva nella finale di Coppa Italia resterà per sempre. Dopo una stagione quasi a secco di realizzazioni, la svolta con Italiano. In questa annata ha messo a segno nove sigilli, con due doppiette.

La sua rete decisiva nella finale di Coppa Italia resterà per sempre. Dopo una stagione quasi a secco di realizzazioni, la svolta con Italiano. In questa annata ha messo a segno nove sigilli, con due doppiette.

La sua rete decisiva nella finale di Coppa Italia resterà per sempre. Dopo una stagione quasi a secco di realizzazioni, la svolta con Italiano. In questa annata ha messo a segno nove sigilli, con due doppiette.

di Massimo

Vitali

Dan Ndoye, il re di Coppa. L’uomo che con un gol (anche se in stagione ne ha messi a referto ben nove, complessivamente) è entrato di prepotenza nella storia di Casteldebole facendo il suo ingresso dalla porta principale. Quando un giorno si farà la conta dei calciatori del Bologna che nel dopoguerra hanno firmato con una loro rete l’atto finale di una competizione che conta il cerchio sarà piuttosto ristretto: Fogli e Nielsen nello spareggio-scudetto con l’Inter del 7 giugno 1964, Savoldi nei due successi in Coppa Italia del 1969-70 e 1973-74 e Ndoye, per l’appunto, decisivo nell’alzare al cielo, la notte del fatidico 14 maggio, la terza Coppa Italia della bacheca rossoblù.

Passare alla storia per un gol dopo essere stati a lungo dipinti, e a buona ragione, come un attaccante bravo a fare tutto fuorché a segnare è la bizzarra applicazione al calcio della legge del contrappasso. Thiago Motta, uno che pure ha brillato per capacità di far lievitare il proprio capitale tecnico e umano, quel difetto che sembrava un vizio di fabbrica al primo anno di Ndoye in rossoblù non era mai riuscito a limarlo. Poi è arrivato Italiano, che ha messo di fronte il nazionale svizzero a una verità tanto acclarata quanto scomoda. Letterina di inizio stagione del tecnico: "Caro Dan, con tutto il lavoro che fai e la qualità che hai non puoi arrivare davanti alla porta e segnare un gol a stagione". Da allora il provando e riprovando sui campi di Valles e Casteldebole è stato il leit motiv e a furia di picchiare su quel tasto l’incantesimo si è spezzato a fine novembre in campionato, con la doppietta al Venezia.

Poiché l’appetito vien mangiando Ndoye ha pensato bene di festeggiare la fine del digiuno cominciando a segnare a raffica: gli 8 gol che ha messo a referto in campionato li ha realizzati tutti nell’arco di poco più di quattro mesi. La nona perla, il gol segnato al Milan nella finale di Coppa Italia dell’Olimpico, è stata la pennellata d’autore su una stagione che passerà alla storia come un capolavoro. Il resto è Dan, gazzella (per movenze e attitudine atletica) con i natali a Nyon, in Svizzera, ma con un dna da leone che gli deriva dal sangue senegalese del padre.

Le sue esultanze leonine, con tanto di artigli sguainati a favore di telecamera ma resi quasi mansueti da un ammaliante sorriso, sono diventati la colonna sonora della stagione rossoblù conclusasi con la vittoria di un trofeo dopo cinquantuno anni di attesa e il ritorno, per il secondo anno consecutivo, nell’Europa del calcio che conta. Se e quanti di questi sorrisi i bolognesi potranno continuare a gustarseli non è dato sapere, per il momento, visto che il mercato estivo ha appena perto le sue danza.

Pagato due estati fa 11 milioni al Basilea (squadra dove ha militato per due stagioni dal 2021 al 2023) dopo una corte serrata di Sartori, responsabile dell’area tecnica del club rossoblù, oggi Ndoye vale almeno il quadruplo dell’investimento fatto dal club di Joey Saputo. Quella Premier League che è diventata la casa degli ex compagni Joshua Zirkzee e Riccardo Calafiori da qualche mese gli strizza l’occhiolino con sempre più insistenza. "Il mio futuro? Vediamo dopo la nazionale", si è smarcato lui prima di congedarsi da Casteldebole. A 24 anni Dan ha il fisico e la maturità mentale, oltre che il know-how davanti alla porta, per spiccare definitivamente il volo. Ma chi l’ha detto che debba succedere per forza di cose lontano dai cieli di Casteldebole?