‘Arrivare a Capo Nord, tra tutti quei gabbiani…’, canta Jovanotti in una sua famosa canzone. E il carpigiano Michele Iacomino ci è arrivato, davvero, a Capo Nord, in Norvegia, il punto più a settentrione in Europa (anche se ha visto le renne anzichè i gabbiani...). La sua è stata un’impresa fisica e mentale, preparata nei mesi e in tutti i particolari.
Un itinerario con una meta precisa e al tempo stesso un viaggio dentro se stesso, per conoscere i propri limiti, il significato del sacrificio e, soprattutto, quello del coraggio. In nome del quale il 40enne Iacomino ha dedicato la sfida vinta ai suoi figli.
Michele, perché proprio Capo Nord?
"Una scelta precisa, per festeggiare i miei 40 anni: desideravo fare qualcosa di più ‘estremo’. E Capo Nord è l’estremo del Nord Europa. Un progetto nato due anni e mezzo fa, e cresciuto in consapevolezza con il passare dei mesi".
Un appassionato di bicicletta? "Io nasco come podista, da maratona. In questi mesi di preparazione ho dovuto modificare le mie caratteristiche fisiche per adattarle alla bicicletta. Il ciclismo non ha mai rappresentato qualcosa di agonistico per me, ma l’ho sempre abbinato ai viaggi, come cicloturismo. Dopo avere percorso Carpi-Catanzaro, 1400 chilometri in otto giorni, ho sentito che stava maturando in me un approccio mentale diverso. Avevo ancora la carica per pedalare, per fare i conti con la fatica e superare i limiti del mio corpo. Così sono passato all’estremo opposto, all’ultracycling, la nuova frontiera del ciclismo, dove si corre per se stessi, per l’esperienza, per mettersi alla prova. Lo scorso anno, nel corso della Vienna-Barcellona ho pedalato 1400 chilometri senza mai scendere dalla bicicletta, giorno e notte, senza neanche dormire".
Come si è preparato in questi due anni e mezzo?
"Abituando il mio corpo, la mia mente, anche la mia alimentazione: non più gel e barrette energetiche, che durante il tragitto si sarebbero trovate sempre più raramente. Si mangiava solo la sera, un grosso piatto di pasta per i carboidrati e poi un po’ quello che si trovava nei bar, panini, biscotti, organizzandosi già per la tappa successiva. Ho bruciato in media 5/6mila calorie al giorno, per un totale di 99200 calorie, percorrendo 4400 chilometri, con un dislivello di 28mila metri, in 18 giorni, tre in meno di quelli prefissati".
Non era da solo in questo viaggio…
"La mattina del 19 luglio, alle 6, sono partito da piazza Martiri, a Carpi, in direzione Rovereto di Trento, dove sono entrato nel gruppo di altri 300 appassionati delle due ruote, di tutte le età, provenienti da 25 paesi e iscritti alla lunghissima corsa competitiva ‘NorthCape4000’, l’avventura ciclistica più partecipata del mondo, definita anche un game changer, un’esperienza umana così potente da cambiare la vita delle persone. Per statistica, il 50% in media non arriva a completare la corsa: ci vuole preparazione, tecnica e anche molta fortuna, perché gli imprevisti possono essere tanti. Tecnicamente io sono arrivato al limite: la mia bicicletta si è materialmente consumata".
Un viaggio in gruppo ma alla fine è in solitaria: a cosa pensava mentre pedalava?
"E’ un viaggio dentro se stessi: sei tu e la tua bicicletta. I pensieri passavano da quelli più gioiosi a quelli più difficili: ho avuto davvero tantissimo tempo per pensare (ride, ndr). Poi ho ascoltato musica, fatto telefonate, risposto a messaggi, cercando di coinvolgere le persone e condividere con loro le emozioni con le foto e le storie sul mio account Instagram (Miaco84)".
Impresa agonistica o sfida con se stesso: cosa ha rappresentato per lei?
"Assolutamente una sfida con me stesso. Ho spinto il mio corpo oltre il limite, ma volevo vedere se sarei riuscito a coronare questo mio desiderio".
Ci sono stati momenti in cui ha temuto di non farcela? "Mai. Dopo i primi tre/quattro giorni ho imparato a convivere con la fatica. Sapevo che a Capo Nord ci sarebbero stati la mia ‘famiglia allargata’, la ‘big family’ ad attendermi, i miei figli di 15 e 12 anni, non avrei mai potuto deluderli, specie dopo tutti i sacrifici che ho ‘imposto’ agli altri nei mesi di preparazione, sottraendo tempo agli affetti e alle persone che davvero mi hanno sostenuto".
Che sensazione ha provato quando è arrivato?
"Avevo letteralmente la testa in tilt dalle tante emozioni positive che avvertivo. Poi…un senso di vuoto enorme. Due anni e mezzo di preparazione, ero arrivato alla meta…e adesso? Mi sono messo immediatamente a pensare e progettare il prossimo viaggio culturale e sociale che rimando da un po’ e che probabilmente farò in solitaria".
La mattina della partenza, il sindaco Righi le ha consegnato la bandierina di Carpi, la maglietta e una boccetta di aceto balsamico. Cosa si prova ad avere portato un po’ della nostra città all’estremo dell’Europa?
"Un grandissimo orgoglio: rappresentavo Carpi. Ho avvertito l’affetto e la partecipazione della comunità che mi ha seguito in questa impresa e ho molto apprezzato la totale fiducia del sindaco che ha creduto in me. Una volta arrivato a Capo Nord gli ho scritto: ‘Sindaco ce l’abbiamo fatta, figuraccia evitata!’". Oltre a tutta la sua famiglia, c’è qualcuno che vuole ringraziare?
"Il mio collega Fabio Sogari, della ‘In bianco e nero’, realtà di tinteggiatura, come la mia ‘Mifra’. Fabio è stato non solo un vero amico, ma anche uno sponsor economico che ha reso possibile (materialmente) questa impresa".
A chi dedica la sua vittoria personale?
"Ai miei figli, con l’auspicio che possa ispirarli ad affrontare la vita e le difficoltà in modo coraggioso".
E adesso…cosa fa, podismo o bicicletta?
"Ora devo lavorare parecchio per recuperare il tempo (ride, ndr). Mi prendo una pausa fino a Natale, per stare con la mia famiglia. Ma con la testa sto già pianificando il nuovo progetto…".