Quando la casa è una vera e propria emergenza, è necessario un nuovo approccio urbanistico

Difficoltà / Reperimento delle materie prime, costi dei mutui e ostacoli per ottenerli: acquistare e mantenere un immobile è un'operazione faticosa

Mauro Grazia, consulente di Confabitare

Mauro Grazia, consulente di Confabitare

Il tema della casa è molto complesso: riguarda le innanzitutto persone e le famiglie, le aziende della filiera edilizia, il sistema bancario, le amministrazioni comunali, le Regioni, gli agenti immobiliari, i notai, ecc. Per questa ragione il tema viene diviso in due parti: la prima in questo inserto e la seconda nel prossimo. Prima parte: gli aspetti sociali e normativi. Alla fine di aprile, alla presenza del Sindaco Lepore, del Cardinale Zuppi e del sociologo De Rita, è stata presentata una ricerca del Censis sul territorio bolognese: è risultato che i dati della crescita sono confortanti in tutti i settori ma le disuguaglianze preoccupano, soprattutto perché diventano sempre più percepiti come normali, ha detto il Cardinale; il quale aggiunge ancora «… tra le disuguaglianze uno dei problemi più grossi è quello della casa, perché se non c’è la casa vuol dire che la famiglia è in difficoltà». La casa è dunque in questo momento una vera emergenza, aggravata dall’aumento delle materie prime, del costo del denaro e dei mutui, oltre a una maggiore difficoltà a ottenerli. D’altra parte, l’ultima legge organica sulla casa è stata approvata 45 anni fa: L. 457/1978, Governo Andreotti. Credo che anche a livello locale (Regioni e Comuni) sia necessario un approccio nuovo alle problematiche edilizio-urbanistiche, sottese alla realizzazione degli obiettivi legati in primo luogo al miglioramento del patrimonio edilizio esistente per cercare di dare le giuste risposte al maggior numero possibile di cittadini: giovani copie, famiglie anziane, studenti. Vi è ovviamente il problema economico di trovare le risorse, ma non vi è solo questo; in altre parole, manca, sia a livello nazionale sia a livello locale, una politica abitativa, che tenga conto di tutti gli aspetti, delle diverse esigenze, e cerchi di trovare gli equilibri più avanzati. Si parla molto degli affitti brevi, ma viene presentato spesso come la causa di tutto: l’affitto breve non è la causa ma uno degli effetti della situazione generale. Dopo un periodo di ascolto con le associazioni di categoria e gli ordini professionali, il Comune di Bologna ha presentato lo scorso marzo una proposta definita “Modifiche agli strumenti di governo del territorio 2023 – Relazione per la consultazione preliminare”. Il documento, anche se preliminare, è una delusione: sia perché non tiene in alcun conto della consultazione che c’è stata (ma questo non è la prima volta che accade), sia perché si tende a far passare l’idea che ogni responsabilità sia del privato. Vi sono sicuramente biechi speculatori che vanno contrastati ma non sono tutti così; in più, che esempio ha dato la pubblica amministrazione in generale? Sicuramente non brillante. Aree demaniali militari inutilizzate (a Bologna gli esempi sono numerosi), alloggi popolari sfitti (a Milano pare che siano addirittura 15.000, ma ce ne sono anche a Bologna), interventi di riqualificazione al palo. Bene ha fatto il Sindaco Lepore a sollecitare il demanio a liberare le aree militari non utilizzate (sono anni che se ne parla) ma quando questo avverrà il prezzo delle aree non calerà per la stessa ragione del privato: il demanio vorrà realizzare il massimo. Due esempi a conferma di quanto scritto sopra. Dice il Comune che “Nel primo anno di attuazione del PUG la riqualificazione della città esistente si è realizzata prevalentemente attraverso interventi di ristrutturazione edilizia (RE) con pochi interventi di ristrutturazione Urbanistica (RU), nessun intervento di Addensamento e Sostituzione Urbana… Il primo periodo di attuazione del PUG non ha visto la realizzazione né l’attivazione di alcun intervento che porti alla realizzazione di ERS” (edilizia residenziale sociale). La differenza sostanziale tra RE e RU è che nel secondo caso è necessario convenzionarsi con l’Amministrazione, mentre nel primo trattasi di una sorta di edilizia libera, con l’unico vincolo del rispetto delle norme regolamentari. Credo che la soluzione giusta sarebbe cercare di cogliere le ragioni oggettive del fenomeno, non uniformare di fatto le RE con le RU. Il costo di costruzione è un dato certo e noto agli addetti ai lavori, così come è noto il valore di mercato della vendita: nella differenza tra i due valori ci stanno il costo dell’area, gli oneri di urbanizzazione, il costo finanziario, l’utile del costruttore/impresa, oltre a ciò che chiede il Comune nella convenzione. Se il confronto avviene su queste basi la soluzione che soddisfi entrambi si trova: occorre pragmatismo laico, non ideologia pregiudiziale. Secondo esempio. Trattando il tema energetico per la promozione di interventi rivolti alla missione della neutralità climatica da raggiungere nel 2030, il Comune scrive: «Le qualificazioni energetiche oggi sono difatti in mano al settore privato che, accompagnato dai finanziamenti statali (bonus e superbonus), non sta andando in una direzione mirata alle specificità cittadine né pienamente coerente con le strategie della missione. È necessario perciò continuare a promuovere una molteplicità di azioni urbane strutturali per avvicinarsi all’obiettivo del 2030». In questo caso il riferimento è rivolto ai privati, singoli condomini, che hanno attivato gli interventi di efficientamento energetico consentiti dal superbonus 110%. Certamente l’isolamento a cappotto degli edifici non è sufficiente, come viene scritto, ma non fare nulla o molto poco è sicuramente peggio, come nel patrimonio edilizio pubblico. Nemmeno pochi interventi di eccellenza energetica, come traspare dal documento, sposterebbero in modo significativo gli alti consumi dei fabbricati esistenti. Auspico che il confronto porti a risultati concreti, anche su altri argomenti a mio parere importanti. Alcuni esempi. Per il recupero del patrimonio edilizio in territorio rurale persistono ancora vincoli normativi incomprensibili che penalizzano ogni intervento su fabbricati e su lotti esistenti non tutelati e che nulla hanno a che vedere, anche per la loro storia, con il territorio rurale: indistinta e anacronistica limitazione ai due alloggi, impedimento a ogni incremento volumetrico, anche limitato, obbligo di mantenere la destinazione d’uso originaria dei fabbricati accessori demoliti e ricostruiti. Credo necessario rivedere la normativa sul recupero del patrimonio edilizio in territorio rurale per consentire demolizione e ricostruzione dei fabbricati non tutelati e con destinazione d’uso non agricola: basta con il processo alle ipotetiche future intenzioni speculative degli operatori. Se avvengono speculazioni improprie si intervenga semplicemente sui colpevoli. Questo vale anche per gli interventi di demolizione-ricostruzione di edifici privi di qualsiasi interesse, che nel PUG di Bologna sono normati da prescrizioni di incerta interpretazione e per i cui progetti non è ammesso il pre-parere della CQAP: non esiste quindi alcun vaglio estetico-funzionale preliminare. Risultato: l’interessato, cittadino o impresa, impara alla fine dell’istruttoria, dopo aver commissionato e pagato un progetto, se può realizzare l’intervento ipotizzato. Possibilità di realizzare alloggi di dimensioni al di sotto dei 50 mq, nella città storica: appare opportuno sottolineare che Bologna impone una dimensione minima quasi doppia rispetto a quella prevista dalla normativa nazionale. La proposta del Comune sul tema è del tutto insufficiente. Vi è poi l’esigenza di coordinare la programmazione degli interventi di Enti diversi: comune, città metropolitana (o provincia), HERA, ENEL, aziende telefoniche, ecc., sia per armonizzare le operazioni, sia per rendere coerenti le scelte strategiche. Un esempio concreto: Bologna è tra le 9 città italiane che intendono raggiungere la neutralità carbonica (fine dei combustibili fossili) entro il 2030, per cui l’incremento delle energie rinnovabili è uno dei punti decisivi. Nei mesi scorsi la Città Metropolitana ha pubblicato un bando per il rifacimento del coperto dell’istituto Aldini Valeriani, di cui ha la proprietà del fabbricato, senza prevedere la realizzazione contestuale di un sistema fotovoltaico. La superficie interessata è di circa 12.000 mq dove sarebbe possibile realizzare un sistema fotovoltaico fino a 1500 kW (dipende dal tipo di pannelli che si utilizzano). Perché avvengono queste distorsioni? Non è pensabile che la città Metropolitana di Bologna non sappia che la città di Bologna ha l’obiettivo di essere carbon free entro il 2030, per cui sicuramente la ragione è un’altra: se si vogliono raggiungere obiettivi importanti come la decarbonizzazione, occorre sulle infrastrutture una programmazione strategica diversa, che coinvolga fin dall’inizio tutti i soggetti a vario titolo coinvolti. Organizzato così il sistema risulta assolutamente scollegato. Non si tratta di criticare le singole capacità (che anzi sono di buon livello) quanto valorizzare le potenzialità del sistema. A proposito di infrastrutture: pensiamo a cosa potrà succedere, in particolare nel centro storico, se non si interviene per tempo, alla rete di distribuzione elettrica con l’aumento previsto del numero di colonnine di ricarica delle auto elettriche. (continua nel prossimo inserto) Mauro Grazia Consulente Confabitare