ANTONIO LECCI
Eventi

"Ai giovani insegno arti e mestieri di una volta"

Pilota di aerei, Sergio Subazzoli di Novellara è un maestro nell’impagliatura e autore di racconti e poesie dialettali. Ha fondato l’atelier di San Bernardino

"Ai giovani insegno arti e mestieri di una volta"

Pilota di aerei, Sergio Subazzoli di Novellara è un maestro nell’impagliatura e autore di racconti e poesie dialettali. Ha fondato l’atelier di San Bernardino

Sergio Subazzoli, classe 1934, è nato a Novellara, nella tenuta Riviera San Bernardino. Dal 1990 si è ritirato dal lavoro e nel 1999 è stato pure consigliere comunale di maggioranza, dimostrando impegno per la comunità locale anche all’interno delle istituzioni. È molto conosciuto per il suo hobby legato alla scultura su legno, lavorazione della creta, la scrittura dialettale, ma soprattutto per l’attento e storico lavoro di impagliatore di sedie, attività che ha proposto in fiere e sagre. La sua intensa attività orientata a non disperdere le tradizioni del passato, in particolare con le sue pubblicazioni, gli è valsa diversi importanti riconoscimenti, premi e vari attestati di stima, fino alla consegna a Roma di un premio per un suo scritto presentato al concorso nazionale ’Salva la tua lingua locale’. Tra i suoi libri anche testi con titolo in dialetto come ’Quand al dialét l’era ‘l pan di povrét’, oltre a ’La Bassa nel cortile’.

Sergio Subazzoli, come è iniziata questa passione?

"Dopo la licenza media inferiore ha cominciato subito a lavorare prima come bracciante agricolo, poi come scariolante, aiuto casaro e banconiere dello spaccio cooperativo, infine alle dipendenze di aziende specializzate, come tecnico. Nel 1972 ho conseguito il brevetto di pilota per aerei leggeri. Nel 1995 ho festeggiato il sessantunesimo compleanno lanciandomi con il paracadute in tandem, da un’altezza di tremila metri. Nello stesso anno ho fondato l’atelier di San Bernardino, assumendomi l’impegno di trasmettere a chi lo desidera l’arte manuale dell’arrangiarsi con i mestieri di una volta".

Lei è sempre rimasto legato alle tradizioni…

"Da bambino vivevo in una famiglia patriarcale povera, composta di diciannove persone. Eravamo contadini e conducevamo un podere a mezzadria. Noi ragazzi eravamo ammessi a tavola solo con le donne, mentre gli uomini pranzavano per conto loro. Gli uomini adulti erano solo quattro, più il nonno paterno che impartiva gli ordini a tutti e a tavola mangiava in disparte, prendendo le distanze anche dai figli che davano del voi ai genitori. E pure la nonna dava del voi al marito. Erano davvero altri tempi rispetto ad oggi".

Lei è un maestro nell’impagliatura, ma anche un ottimo autore di racconti e poesie dialettali.

"Mi piace raccontare storia e tradizioni della nostra terra. Ma sono contento anche di insegnare agli altri, soprattutto ai più giovani, quelle tradizioni che altrimenti rischiano di perdersi nel nulla, di finire nel dimenticatoio. Come l’antica arte povera dell’impagliatura, che propongo anche nelle fiere e nelle feste tradizionali. È un’arte vera e propria, che necessita di una accurata scelta del materiale da utilizzare e tanta passione".

E poi ci sono racconti e poesie, in dialetto ma non solo…

"Ho scritto e presentato diverse pubblicazioni. Ricordo ’Il tempo dei padri. Vicende e personaggi della Bassa Reggiana tra guerra e dopoguerra’, una raccolta di oltre settanta poesie in dialetto novellarese, con disegni e fotografie d’epoca. Il racconto di un periodo segnato dalla fatica quotidiana, dalla miseria, dalla fame, dallo sfruttamento, dalla violenza. Ma anche dalla solidarietà, dalla volontà di riscatto, dall’amore per la terra. Un mondo di consuetudini e credenze antiche, di conoscenze legate alla natura e al ciclo delle stagioni, di personaggi singolari e pittoreschi".

Ma quale è il segreto per diventare un bravo impagliatore?

"La tecnica dell’impagliatura è un’arte molto antica in Italia così come in Europa. Gesti antichi che si sono ripetuti nei secoli, tanta manualità che va scomparendo. Ora che il mondo virtuale ci sta invischiando sempre più, nostro malgrado, questo potrebbe essere un modo semplice per riavvicinarci a ritmi più lenti e naturali. Il carice o erba palustre è sempre stato il cavallo di battaglia per impagliare le sedie. Cresce spontaneo nelle zone umide in tutta la Penisola, in riva ai fiumi in diverse varietà o specie che col tempo si sono ibridate spontaneamente. Per raccoglierlo? Il costo è il sapore del sudore. Si possono usare anche le foglie degli involucri delle pannocchie del mais. Con la Tifa, una latifoglia che abbonda nelle zone acquitrinose, si possono costruire, oltre all’impagliatura delle sedie, sportine e tanti altri oggetti come cappelli, sandali e altro ancora. E poi si usano il cordino di cellulosa di varie tonalità, il cordino di giunco marino, il trafilato di bambù…".

Ma alla sua età dove trova tanta forza per portare avanti le sue passioni?

"Nei tanti momenti di sconforto (anche la mia vita non è stata del tutto facile), talvolta ho pensato di farla finita. Ma poi pensavo che in fondo i miei vecchi avevano affrontato una vita ben più dura della mia. E ha sempre prevalso la curiosità di sapere: Cosa succederà domani?"