Terry Driscoll, l'uomo dei record della Virtus Bologna

Nessuno, nella storia del club, è stato capace di vincere un titolo da giocatore (1976) e uno, anzi, due, da allenatore (1979 e 1980)

Terry Driscoll

Terry Driscoll

Si chiama Edward Cuthbert, ma tutti a Bologna, l’hanno sempre chiamato Terry, perché il suo nome è Terry Driscoll (foto). Terry, il “bostoniano”, l’uomo dei record perché nessuno, nella storia della Virtus, è stato capace di vincere un titolo da giocatore (1976) e uno, anzi, due, da allenatore (1979 e 1980). A Bologna in due momenti diversi, nel 1969/70, fresco di università e dal 1975 al 1980, da atleta maturo, sposato e padre di due figli. E quando può - la pandemia ha scombinato tutto - torna volentieri nella sua Bologna e non ha mai dimenticato quella padronanza della lingua italiana (senza trascurare il dialetto) che ne fanno non solo un campione sul campo, ma pure campione di integrazione.

Dici Driscoll e ripensi alla capacità di una stella di ripartire, dopo aver fallito (non per colpa sua, per altro), il primo approccio con le Due Torri.


La frase
  • Coach Peterson perché ho passato
  • il pallone ad Aldo Tommasini?
  • Doveva entrare nel clima partita
  • Avesse sbagliato il tiro
  • al rimbalzo ci avrei pensato io

Terry gioca nel campionato Ncaa nelle fila dei Boston C. Eagles. Essendo un classe 1947 finisce nel draft 1969. E' il quarto assoluto perché all’università Terry procede spedito: 23,3 punti di media ai quali aggiunge 17,8 rimbalzi. Se a questo punto siete convinti che ci sia un errore di valutazione e che Driscoll avrebbe meritato la prima scelta assoluta sappiate che il numero uno di quell’annata esce da Ucla e risponde al nome di Lew Alcindor. Ancora niente? Beh, Lew Alcindor è il nome di quel pivot che, qualche anno più tardi, convertendosi all’Islam, diventa Kareem Abdul Jabbar. Neal Walk e Lucius Allen gli altri due universitari che stanno davanti al nostro Terry che, comunque, precede un certo Jo Jo White, uno che avrebbe poi vinto due titoli con i Celtics e al quale Boston tributa l’onore di ritirare la maglia numero 10.

Terry viene scelto dai Detroit Pistons che gli propongono un triennale per complessivi 180mila dollari.

Driscoll, che è fresco di laurea in biologia, sceglie invece Bologna e un accordo da 75mila dollari. Ma non sono i dollari a spingerlo verso le Due Torri quanto, piuttosto, l’idea di continuare gli studi in Medicina all’Alma Mater Studiorum.

I propositi accademici vengono ben presto accantonati, ma basta la presenza di questo americano per accendere la fantasia dei tifosi bianconeri. Non è ancora un PalaDozza (che in quel momento è solo il Madison di Piazza Azzarita) da tutto esaurito, ma compare un primo striscione: “Dado, Driscoll e Cosmelli, sono tornati i tempi belli”.

E i tempi, nel 1969, effettivamente, sembrano volgere al meglio, fino a quando la caviglia di Terry fa crac. Driscoll fatica a recuperare e non rende da prima scelta. Torna nella Nba nel 1970 e, dopo una stagione con i Detroit Pistons, ne trascorre una seconda con i Baltimore Bullets, due con i Milwaukee Bucks e una con gli Spirits of Saint Louis. Nel 1974, in maglia Bucks, ha come compagni Oscar Robertson, proprio Lucius Allen e pure Kareem Abdul Jabbar. Quei Bucks arrivano fino alla finale per il titolo Nba, perdendo con i Boston Celtics. I Celtics si ricordano di lui un anno più tardi: il leggendario Red Auerbach lo vuole a Boston, perché Terry è di quelle parti, perché ha lo spirito indomito di Irlanda, perché sarebbe una bella iniezione di entusiasmo per il suo team.

Non se ne fa niente perché Terry vuole giocare con continuità. Succede così che Auerbach ne parli con Gianluigi Porelli e l’avvocato, alla fine, si convinca. E soprattutto convinca Driscoll a tornare a Bologna. Qualche giornalista dell’epoca lo bolla con un commento tutt’altro che lusinghiero. Terry viene paragonato a “una minestra riscaldata”. Niente di meglio per esaltare lo spirito competitivo e la grinta da combattente di Terry che vince lo scudetto al primo colpo. Non ha la stazza di Dino Meneghin, non ha le mani fatate di Bob Morse, ma con lui cresce tutta la Virtus. Un aneddoto per capire lo spirito di Terry? Aldo Tommasini è il decimo uomo della Virtus in un basket nel quale si gioca in sei, al massimo sette.

E in una delle prime partite, Peterson è costretto a far entrare Tommasini. Driscoll non ci pensa un attimo: gli passa un pallone che scotta e Aldo realizza due punti. Peterson a fine gara chiede spiegazioni a Terry: la scelta di servire il pallone al panchinaro non è parsa l’idea migliore al coach. E Terry? “Coach, dovevo metterlo subito nelle condizioni di entrare in partita. Se avesse sbagliato ci avrei pensato io a recuperare il rimbalzo”.

Capito lo spirito di Terry? Con lui, dopo lo scudetto - il primo per la Virtus in piazza Azzarita dopo un’attesa di vent’anni che ci riporta all’epopea della Sala Borsa - arrivano due finali tricolori (perse sempre con Varese) e la prima finale europea, la Coppa delle Coppe 1978.

Terry migliora tutti quelli che gli stanno accanto - da Bertolotti a Bonamico, da Serafini a Villalta - ma, nonostante abbia solo 31 anni, ha una schiena mal messa che gli impedisce di rendere come vorrebbe.

Dan Peterson, nel frattempo, il coach dello scudetto, prende la strada di Milano e dell’Olimpia e l’avvocato Porelli che fa? Si inventa Driscoll coach. Terry  sa di basket come pochi - del resto fino a pochi mesi prima è stato, per Peterson, come un allenatore in campo - e si avvale di un secondo tattico e di valore come Ettore Zuccheri. Arriva Kresimir Cosic e, per chiudere il cerchio, quell’Owen Wells che, si dice, sia un vicino di casa di Driscoll. Nasce una Virtus che vara una zona 3-2 con Cosic in punta e una 2-3 dove Wells lavora per quattro: dietro non si passa. E così, nel maggio 1979 arriva lo scudetto in finale proprio contro il maestro Peterson. L’anno dopo cresce il tasso tecnico perché al posto di Wells arriva Jim McMillian. Driscoll porta ai massimi livelli Pietro Generali, anche se perde per strada il talento Gianni Bertolotti. Terry è uno che guarda lontano, uno stratega che conosce bene la Nba. In Italia si gioca in cinque?

Driscoll pensa di trasformare Bertolotti in John “Hondo” Havlicek, che sarebbe poi il sesto uomo per antonomasia. L’uomo che entra a partita in corso e che, potendo fare tutto, la spacca. Havlicek, stella dei Boston (quasi una squadra del cuore per Terry), è famoso per quello. 

L’idea è quella: Bertolotti non la capisce fino in fondo e si perde. Ma alla fine dell’anno, comunque, arriva il secondo scudetto: 2/2 per un allenatore debuttante. Mica male, vero?

E Terry poi - siamo nel 1980 - che fa? Torna negli States. Si dice che lui e Porelli non riescano a trovare un’intesa per una differenza di 10mila dollari. La realtà è che Terry con la moglie Susan, vuol rientrare negli States per far crescere i figli Keith e Leslie.

Torna negli States e diventa “Director of Athletics” al College William & Mary di Williamsburg, in Virginia. Dov’è talmente bravo che gli affidano la gestione di milioni di dollari da investire nello studio e nei programmi atletico-sportivi.

Oggi Terry ha 73 anni, si tiene in contatto con i vecchi amici di Bologna. E quando la pandemia sarà solo un lontano ricordo, tornerà all’ombra delle Due Torri, per festeggiare. E brindare a tavola, mescolando l’italiano con il bolognese. E magari ricordando come, sua moglie Leslie, sia diventata una star in cucina, facendo assaggiare agli amici americani quelle lasagne che ha imparato a preparare proprio in Italia.

E se lo chiamate, una buona parola per i vecchi amici di Bologna, la trova sempre. Inimitabile Terry, campione con la C maiuscola.