Brusca, i dubbi e l'indignazione

Sono stato sempre avverso ad ogni forma di ipocrisia e pur nell’indignazione che mi pervade in merito alla scarcerazione del pentito Giovanni Brusca, condannato per un numero di omicidi che neanche ricorda, ma soprattutto per quello del povero piccolo Matteo e del Giudice Falcone, non mi incanalo del fiume dei proclami e dei facili annunci sui social, ma pongo delle domande. La condanna del pentito Brusca con le attenuanti derivanti dallo stato di collaboratore, sono state decise ed applicate oltre venticinque anni fa, insieme alla sentenza che parimenti è stata promulgata da giudici che hanno applicato la legge dello Stato. Quindi la domanda: posto che non si volesse immaginare che il soggetto in questione non superasse il periodo detentivo, perché l’indignazione non è stata espressa allora? E cosa ha fatto la politica dopo aver perso uomini come Falcone e Borsellino per fornire gli strumenti legislativi necessari? Lo stato di pentito prevede il rientro in un regime carcerario che suppone la possibilità di reinserimento nella vita sociale, nella misura in cui il detenuto abbia fornito elementi utili a combattere i gruppi criminali dei quali era componente. Quindi nel ricordare che un detenuto costa alla comunità circa 500 euro al giorno, il nostro sistema prevede che il carcere sia una misura correttiva e non definitiva. Dunque è insopportabile la facile ipocrisia della politica, posto che nulla sia stato realizzato per cambiare l’impianto normativo per non parlare della costruzione di nuovi edifici carcerari. Proviamo a realizzare strumenti adatti a migliorare la situazione carceraria ovvero decidere, assumendo le responsabilità, quali siano gli strumenti normativi per giudicare i collaboratori di giustizia.

Raffaele Acri