La vocazione non si misura con l'abito

La lettera. Risponde Beppe Boni

Il Carlino del 15 settembre ha pubblicato una foto del nuovo Consiglio pastorale della Diocesi di Bologna, in cui appaiono sette sacerdoti: uno solo vestito regolarmente da prete (il cardinal Matteo Zuppi) gli altri abbigliati “in borghese” senza alcun segno della loro missione e vocazione. Il primo gesto della diserzione è sempre il disprezzo della divisa. C’è poi da temere che all’abito corrisponda la liturgia. Brutto segno per la Chiesa, quando i sacerdoti rinunciano al loro abito. Marco Zanini Risponde Beppe Boni L'abito non fa il monaco, o all'occasione il prete. Se dovessimo misurare la vocazione e la professionalità religiosa da come si vestono i sacerdoti almeno la metà dovrebbe essere espulsa dal campo con cartellino rosso. Poi assistiamo a tanti altri casi di preti che pur indossando l'abito talare sempre e comunque si sono resi protagonisti di vicende clamorosamente fuori da ogni ambito morale  e legale. Quindi meglio misurare i sacerdoti da come si comportano e non da come si vestono. Nel caso specifico la foto è stata scattata alla Tre giorni del clero che ha avuto luogo in seminario proprio finalizzato alla formazione dei sacerdoti. Era quindi un'occasione non pubblica. In chiesa, al catechismo o in altre occasioni ufficiali siamo certi che indosseranno il vestito giusto. Accettiamo scommesse. Del resto l'obbligo di avere sempre l'abito talare vale solo per i vescovi. Per i preti il medesimo obbligo è rimasto in vigore solo fino al 1965, anno del Concilio Vaticano II. Papa Benedetto sedicesimo emise  una direttiva in cui si invitavano i sacerdoti ad essere sempre riconoscibili in pubblico con un margine di comprensibile elasticità. Un documento redatto dalla Santa sede nel 2013 aggiunse che un religioso deve sempre essere riconoscibile soprattutto per il proprio comportamento. Quindi se sette preti bolognesi hanno fatto una foto pop possiamo perdonarli. beppe.boni@ilcarlino.net voce.lettori@ilcarlino.net