Maradona, fragilità e talento

La Voce dei Lettori

Perché il mondo si è fermato, ad ogni latitudine, per piangere l'addio del Pibe de Oro? Semplice, in fondo. Perché quando si era bambini alla fine degli anni '80 e si tiravano i primi calci a un pallone in cortile si sognava sempre di emulare le sue gesta. Perché anche se si tifava per la squadra rivale, di club o nazionale, non si poteva che applaudirne una prodezza, con sincera ammirazione. Perché ha saputo rappresentare l'essenza del calcio, la gioia di vivere ancora quello sport come un gioco, di incantare il pubblico palleggiando persino con un'arancia. Perché è stato capace di condensare in pochi minuti il gol più beffardo della storia, frutto di un inganno malizioso, e quello più bello di ogni epoca, un dribbling ubriacante in grado di irretire una mezza dozzina di avversari. E se fuori dal campo le sue debolezze hanno spesso preso il sopravvento, questo connubio indissolubile di talento e fragilità, di pericolosi eccessi e di estro creativo ha contribuito a renderlo un personaggio unico, una leggenda. La scomparsa di Diego porta via con sé una parte di noi, quello scampolo di umanità e fanciullezza che ci lascia una sensazione agrodolce, di struggente nostalgia. Massimiliano Cavazza