Stipendi pubblici, una norma scorretta

Che Senato e Camera dei Deputati, seppure ufficialmente sciolti, debbano continuare ad occuparsi degli affari urgenti e necessari, come la conversione in legge di un decreto legge in scadenza, è prassi giuridicamente consolidata. Quando poi trattasi di un atto che rechi aiuti economici ad un’economia produttiva e familiare sull’orlo del collasso, è altresì cosa sacrosanta. Che fra i beneficiari di tali aiuti vi si faccia rientrare, con una norma inserita all’ultimo minuto (poi ritirata ndr), gli alti comandi dell’esercito e i direttori di vertice di ministeri e presidenza del consiglio, è invece cosa un po’ meno buona e parecchio ingiusta. Si comprende che il caro bollette renda meno sostenibili le utenze domestiche di spaziose residenze e seconde o terze case vacanza, ma destinare una parte, per quanto piccola, delle scarse risorse finanziarie rese disponibili dal maggior gettito fiscale, che grava su tutti i cittadini, per innalzare gli stipendi dei grandi vertici della pubblica amministrazione oltre il già considerevole tetto di 240mila euro annui, insomma, anche no. La norma, proposta da un’esponente della precedente opposizione, l’onorevole La Russa di Fratelli d’Italia, è stata approvata grazie all’astensione e al voto favorevole di senatori della vecchia maggioranza, insomma una larga intesa in aula, mentre al di fuori del palazzo imperversa una campagna elettorale dove tutti fanno la guerra a tutti. Marco Lombardi