L’export torna a correre: meglio del 2019

Crescita sostenuta nei primi sette mesi dell’anno, superati i livelli pre-pandemia. Ma il valore medio delle bottiglie è ancora basso

Migration

di Lorenzo Frassoldati

L’export va. È questo il segnale più confortante per il vino italiano nei primi sette mesi del 2021. Sono tornate le fiere (Vinitaly Special Edition), sono tornati i road-show all’estero, con tour promozionali e degustazioni in giro per il mondo, dal Nord America all’Asia. La crescita dell’export nei primi 7 mesi dell’anno è stata robusta: +14,5% rispetto allo stesso periodo del 2020 ( ma anche +10,7% rispetto ai primi sette mesi del 2019) portando il loro valore a 4 miliardi di euro; un incremento soprattutto oltre i confini europei, con gli Stati Uniti primo mercato di destinazione (fonte Sace). Ottime performance per lo spumante italiano, in particolare per il Prosecco che nel periodo è cresciuto di oltre il 30%, ancora una volta trainato dal mercato americano che ha segnato una crescita media superiore al 40%, ma non è trascurabile anche la crescita verso i ‘concorrenti amici’ francesi: le vendite di Prosecco verso Parigi sono cresciute del 15,2% nei primi 7 mesi, continuando un percorso di crescita che prosegue da tempo. Note positive anche per l’export di spirits italiani nello stesso periodo:+ 23,2%, con punte per il sidro che ha superato, in valore, il vermut (140 milioni contro 120), grazie a una crescita di quasi il 50% .

Quali territori esportano di più? Il Veneto in testa (è l’effetto Prosecco) con 1,1 miliardi di euro (+12%). Segue il Piemonte con 572 milioni ( +22,3% tendenziale). Terza regione la Toscana con 536 milioni (+ 17,2%). A chiudere la Top 5 (sempre fonte Sace) sono Trentino-Alto Adige ed Emilia Romagna, con tassi di crescita a doppia cifra per il periodo gennaio-giugno, dopo aver chiuso il 2020 in positivo.

Tutto bene? Sì e no. Bene la ripresa, ci voleva dopo un 2020 da Quaresima, soprattutto per chi lavora principalmente con Horeca. Ma all’orizzonte ci sono le nubi dell’incremento dei costi di materiali, tariffe e servizi (energia, logistica, trasporti, container ecc) che pesano eccome sulla ‘ripresina’. "Ciò che preoccupa sono gli inevitabili rincari del nostro vino sugli scaffali dovuti all’escalation dei costi di materie prime, energia elettrica e trasporti – dice Paolo Castelletti, segretario generale UIV Unione Italiana Vini - . È bene che questi rincari siano assorbiti in egual misura da tutti, non solo dalla catena produttiva". Poi altro tema dolente: il valore medio delle nostre bottiglie sui mercati esteri. Solo il 5% delle bottiglie di vino fermo italiano destinate all’export esce dalle cantine a più di 9 euro al litro, mentre il 75% non supera la soglia dei 6 euro. Un posizionamento più basso non solo rispetto a competitor come Nuova Zelanda, Francia e Australia ma anche rispetto alla media mondiale degli scambi. Un gap che deve cambiare, dice una indagine di Osservatorio UIV-Vinitaly. Complessivamente, secondo l’analisi, è il segmento popular (3-6 eurolitro) a essere il più presidiato dal vino tricolore nel mondo con quasi la metà dei volumi, seguito dal basic (fino a 3 euro) con il 28%, dal premium (6-9 euro) con il 20% e dal superpremium (oltre i 9 euro). In sintesi il vino italiano all’estero viaggia in terza classe (con l’eccezione dei grandi rossi toscani e piemontesi), si può fare di più. Negli Stati Uniti solo il 26% dei nostri vini è in fascia premium (dai 6 ai 9 eurolitro) o superpremium (da 9 euro e oltre): siamo dietro ai neozelandesi, che sommano sui segmenti di alta fascia il 46% e ancora meno sulla Francia che domina con il 66% di premium o superpremium. Ma non è solo il principale mercato al mondo – dove pure i rossi piemontesi si posizionano sugli stessi livelli dei Bordeaux francesi – a sottostimare la qualità italiana.

Secondo il nuovo Osservatorio UIV-Vinitaly anche in Cina si può fare meglio. Nel paese del Dragone con il 21% di prodotto quotato oltre i 6 eurolitro superiamo Spagna e Cile, ma rimaniamo lontani da Francia (38%) e soprattutto Australia 76%. Tutto ciò, nonostante il posizionamento dei rossi toscani che nel segmento premium vedono l’80% delle proprie vendite contro il 78% dei vini bordolesi e il 71% degli australiani. Tra gli altri grandi mercati, prezzi medio-bassi anche per gli ordini da Uk e Germania, dove 8 bottiglie su 10 appartengono ai segmenti basic o popular, mentre in Canada le fasce più ambite sono appannaggio di vini statunitensi e francesi. Va meglio in Giappone, con il Belpaese secondo solo alla Francia. Conclusione: secondo l’analisi dell’Osservatorio, è necessario fare tesoro dei casi di alto posizionamento di alcune denominazioni piemontesi e toscane, "un modello replicabile per molte altre doc che ambiscono al segmento premium".