"Il sisma ci ha spinto ad aiutarci Vedere le chiese chiuse fa male"

Il cardinale Zuppi a dieci anni dal terremoto: "Sarà superato quando avremo ricostruito luoghi e relazioni. Nessuno rimase a guardare senza dare una mano: è una lezione valida anche per la pandemia"

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di Massimo Selleri

"Dobbiamo ricostruire". A dieci anni dal terremoto che colpì l’Emilia-Romagna, il cardinale Matteo Zuppi ha le idee molto chiare su quali siano i passi da fare per superare le difficoltà legate al sisma. "Vedere una chiesa chiusa, non ancora restaurata, ci fa male e ci ricorda che non possiamo rimandare ulteriormente. C’è una certa differenza tra sanare e guarire. Sanare lascia una cicatrice, un qualcosa che ci dice che non abbiamo realmente ricostruito ma abbiamo aggiustato. Guarire è ricostruire, cioè riconsegnare quanto di bello e di buono è stato fatto. Il terremoto sarà superato solo quando avremo ricostruito luoghi e relazioni. Allora saremo guariti".

Cardinale Zuppi, come si guarisce?

"Innanzitutto imparando la lezione che il terremoto ci ha dato. Noi stiamo uscendo dalla pandemia del virus, ma questa è solo una delle tante pandemia che affliggono il mondo. Il sisma è stata un’altra espressione del male. A volte ci facciamo prendere dalla tentazione di diventare complici del male, pensando che in questo modo si possano contenere gli effetti, ma questa connivenza non ci porta da nessuna parte. La solidarietà è l’unico modo per vincere il male".

Perché?

"Quando visitai le zone colpite dal terremoto nel 2012 la cosa che più mi sorprese fu il modo in cui le persone si aiutarono tra di loro e come il resto della regione diede una mano a quelle persone. Davanti al male noi abbiamo due strade: la prima è quella di voltarci, pensando che non ci colpirà, e l’altra è quella di tendere una mano alle sue vittime. La maggior parte della gente si è chiesta che cosa poteva fare per chi è rimasto senza casa ed era costretto a vivere in una tenda. La risposta a questa domanda è stata la solidarietà, cioè l’aiutare chi era in difficoltà, senza aspettare che fossero gli altri a farlo. Il risultato è che oggi tutti sono tornati a vivere nelle proprie case".

Se il ricordo è il primo passo per imparare, il secondo è dimenticare la paura?

"No, il contrario. La paura ci trasmette il senso del limite e non può essere ignorata. Vivere senza la paura del pericolo sarebbe da incoscienti. Le persone prima di rientrare nelle loro case si sono messe in sicurezza e noi aspettiamo a riaprire le chiese fino a quando non saranno sicure".

E come si supera la paura?

"Con la consapevolezza, sapendo quali sono le regole da seguire per limitare i pericoli. Nessuno dormirebbe in un edificio che rischia di crollare o manderebbe i propri figli in una scuola ancora pericolante. Anche lo stare e il mettere in sicurezza è un’espressione della solidarietà e questo lo abbiamo imparato bene con la pandemia. Il mondo è malato fino a quando ci sarà anche solo una persona contagiata e tornerà sano solo quando tutti saremo guariti o tutti avranno la possibilità di curarsi".