"Nicola, vuoto incolmabile Il risarcimento? Una beffa"

I genitori ogni giorno portano fiori sulla tomba del 35enne morto a Sant’Agostino: "Abbiamo ricevuto solo un assegno di 1.936 euro dall’Inail, la legge va cambiata"

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"Dopo dieci anni rimane solo un dolore immenso. La mancanza di Nicola si sente sempre di più. Sarà l’età. Ma ogni momento che passa è peggio. Andiamo insieme tutti i giorni al cimitero, portiamo i fiori, parliamo con lui sulla tomba. Ma nostro figlio non c’è". Bruno Cavicchi e Romana Fiorini, sono i genitori di Nicola Cavicchi, il giovane di 35 anni, morto nella notte del 20 maggio, sotto le macerie delle Ceramiche Sant’Agostino. Abitano a San Martino di Ferrara, nella casa dove risiedeva anche Nicola. "Era allegro, scherzava con tutti – racconta la madre – aveva tanti amici e tutti gli volevano bene. Gli piaceva viaggiare". Quella sera sarebbe dovuto andare al mare dove aveva la casa ma l’avevano chiamato al lavoro: "Era andato con serenità" ricorda la madre. Da 11 anni era un operaio alle ceramiche. Sostituiva chi si ammalava. Proprio per l’esperienza e per la capacità di muoversi tra le diverse mansioni era un Jolly. Quella notte aveva accettato di sostituire un collega. Era di turno mentre il terremoto delle 4.4 ha fatto crollare l’edificio. "C’eravamo spaventati con quella scossa così potente, ma i telegiornali non parlavano di morti – ricorda il padre – tanto che lo aspettavamo a casa subito dopo le sei. La mattina avevamo aperto la porta. Attendevamo che entrasse da un momento all’altro, con quel suo fare scherzoso di tutti i giorni. Ma non arrivava mai. Lo stiamo ancora spettando". Da qui le telefonate che non davano risposta. Le linee erano fuori uso. La corsa del fratello Cristiano e della fidanzata di Nicola Elisa, alla fabbrica di Sant’Agostino. E la scoperta terribile, devastante, della tragedia. Nello stesso reparto anche Leonardo Ansaloni, 41 anni, di Reno Centese, due figli ancora piccoli, era stato travolto dalla violenza del terremoto e ucciso. Nicola stava, proprio in quei giorni, compiendo passi importanti per la sua vita. "Attacco le scarpe da calcio al chiodo – aveva annunciato ai genitori – e vado a vivere da solo". Era stato un difensore del San Carlo e del Sant’Agostino. Aveva deciso di sistemare la casa, a cinquanta metri da quella attuale, dove i genitori erano stati ‘sposini’ e dove lui aveva vissuto l’infanzia. Una casa che la famiglia aveva conservato e che Nicola voleva far rinascere. "Il giorno dopo – ricorda la madre – avrebbe dovuto andare a fare alcuni lavoretti per sistemare la casa".

Ma quel suo sogno che si stava plasmando non ha potuto concretizzarsi. Giorni terribili. Il padre Romano, 80 anni, ex operaio della Montedison, ricordando scuote la testa. Si è trovato ad affrontare anziano, pensionato, un dolore immenso, ma anche una battaglia legale per far valere, senza riuscirci, i diritti di chi è morto sul lavoro.

"Ci hanno recapitato un assegno di 1.936,38 euro dall’Inail per le spese funerarie – racconta il padre Romano – perché non aveva moglie e figli a carico e la legge non riconosce nulla. Eppure il contributo di Nicola in famiglia era fondamentale. Non è neppure un’elemosina ma una beffa nella tragedia – fa notare – visto che solo per il funerale ne abbiamo spesi 11 mila. La vita di un operaio morto mentre lavora a soli 35 anni, non può valere poco più di mille euro. Era meglio non ricevere niente". La tragedia si offusca di un senso profondo di ingiustizia. "Ricordo che a settembre ero andato a Bondeno – aggiunge il padre – per essere ascoltato dalla Commissione di inchiesta per gli infortuni sul lavoro del Senato. Avevo chiesto di cambiare la legge, il testo unico 1124 del 30 giugno 1965. Non gli è stato riconosciuto nulla. Vorrei almeno si ricordassero di chi verrà dopo di lui".

Claudia Fortini