Il problema periferie: per ricostruire serve capire il rapporto con il centro

E' necessario agire in una visione vasta e inclusiva di tutto il territorio, e mettere in campo politiche coraggiose che prevedano demolizioni e ricostruzioni, e non solo adattamenti episodici

Bisogna elaborare un progetto coordinato da un governo nazionale e locale

Bisogna elaborare un progetto coordinato da un governo nazionale e locale

Non esiste dibattito su pianificazione territoriale, su urbanistica, su rigenerazione del territorio, su transizione ecologica che non venga affrontato il problema delle periferie, del loro rapporto con la città, sia dal punto di vista sociale che economico, e questo da decenni, almeno da quando è iniziata la ricostruzione del nostro Paese dopo il tragico periodo bellico del secolo scorso, dagli anni ’50 del 1900 in avanti. Purtroppo gli interventi concreti e le politiche urbanistiche perpetrate da tutti i governi e amministrazioni locali hanno prodotto scarsi risultati e la marginalità sociale, economica ed architettonica delle cosiddette “periferie” è sotto gli occhi di tutti, anzi, negli ultimi anni se da un lato è aumentata la sensibilità degli organi di governo e di tutti gli organismi partecipativi della cosa pubblica, stiamo assistendo a una progressiva marginalizzazione di intere aree e all’abbandono di complessi edificatori che producono nuovo isolamento ed esclusione. Il termine ‘periferie’ ha perso il suo originario significato “topografico” di aerea urbana posta al limite esterno della parte centrale delle città ed ha assunto sempre più una connotazione di tipo socio-economico: conseguentemente quando si parla di periferia si pensa molto più genericamente ad un’area, anche centrale, soggetta a degrado e progressivo abbandono; a questo proposito sono emblematici gli esempi di interi quartieri nel centro delle grandi città che si identificano come situazioni di isolamento rispetto al contesto circostante. Potremmo definirli luoghi che hanno perso la propria identità e quindi sono divenuti non-luoghi, caratterizzati dalla mancanza di spazi relazionali, da una confusione ed eterogeneità architettonica ridotta a semplice e banale edilizia, alla riduzione di tutti gli spazi pubblici e dei servizi che in qualche modo garantiscono un momento d’incontro fra le persone. Paradossalmente il potenziamento delle infrastrutture e dei mezzi di trasporto hanno accelerato il fenomeno della chiusura di tanti esercizi commerciali concentrandoli in mega centri avulsi da qualsiasi contestualizzazione urbana, anzi, producendo trasformazioni dei luoghi dove sorgono, contribuendo così a una doppia azione di marginalizzazione, quella diffusa e quella concentrata nel luogo di residenza. RIGENERAZIONE URBANA, definizione ormai utilizzata per qualsiasi considerazione sullo sviluppo economico e sociale del Paese, è la parola d’ordine che accompagna ogni progetto di qualsiasi natura e finalità, anche se non è un’azione nuova. Il fenomeno della rigenerazione urbana in Italia si può definire in tre cicli; il primo durante gli anni Settanta del secolo scorso per i centri storici, il secondo, negli anni Ottanta, per il recupero delle aree industriali dismesse, il terzo, quello attuale, per la riqualificazione di interi quartieri residenziali costruiti nella seconda metà del Novecento, caratterizzati da bassa qualità urbanistica, architettonica ed edilizia. Oggi ci troviamo di fronte alla necessità di completare i primi due cicli, in molti casi non compiuti o addirittura non avviati, e ad affrontare totalmente il terzo ciclo, molto più complesso e soprattutto esigente di risorse economiche enormi. Dalla visione urbanistica-espansiva alla visione urbanistica-rigenerativa interdisciplinare e soprattutto totalizzante. Negli ultimi tempi è stato coniato il temine “consumo del suolo zero”, uno slogan emotivamente efficace ma molto demagogico e privo di vero significato attuativo, sarebbe stato molto più pertinente utilizzare il termine “consumo del suolo intelligente”. Ma concretamente cosa significa rigenerare? Non si stratta di limitarsi a una generica riqualificazione, c’è la necessità di ridisegnare e ricostruire i centri urbani nel loro complesso e nella visione di territorio vasto ed inclusivo, comprendendo il rapporto centro-periferia. È necessario mettere in campo politiche coraggiose che prevedano demolizioni e ricostruzioni, ricollocazioni di funzioni e rifunzionalizzazioni, non solo adattamenti effimeri, disordinati, episodici e soprattutto non coordinati da una visione unitaria di lungo termine; l’attuale esperienza dei vari bonus sono l’esempio tangibile di quello che non bisogna fare. La rigenerazione urbana è un processo molto lungo e difficile che ha bisogno di fatti e azioni concrete. Ogni attore della società civile dovrà farsene carico assumendo la responsabilità che tutti dobbiamo esprimere nei confronti delle future generazioni e l’elemento essenziale per attuare ciò è non pensare alle “prossime elezioni”. Che fare? Oltre all’inevitabile necessità di elaborare una visione di un progetto coordinato da una struttura di governo (nazionale e locale) è indispensabile attuare forme di partenariato pubblico-privato e introdurre incentivi fiscali significativi per coloro che intraprendono e si fanno promotori di progetti e attività di rigenerazione. Oltre all’azzeramento degli oneri comunali di costruzione, è necessario introdurre incentivi fiscali che riducano le imposte municipali ordinarie (IMU-TASI-TARI), quelle straordinarie in occasione di compravendite e detrazioni che non siano episodiche e parziali, e soprattutto proporzionali alle spese sostenute e a livelli qualitativi raggiunti. La rigenerazione delle nostre città e paesi è una sfida che coniuga l’esigenza primaria della transizione ecologica ormai ineludibile, con la necessità di realizzare la biodiversità nell’ambiente urbano, la riduzione di consumi idrici, l’integrazione delle infrastrutture della mobilità, il sostegno dell’edilizia abitativa sociale, la tutela dei centri dalla pressione turistica non governata, la salvaguardia del decoro e della bellezza. Processi lunghi e difficili che devono vedere la partecipazione attiva dei singoli abitanti e quelli rappresentati dalle molteplici associazioni, sin dalle fasi di progettazione e gestione dei programmi, come strumento essenziale e di garanzia per una piena attuazione dalla trasformazione condivisa.