FRANCESCO FRANCHELLA
Sport

Ricordando il poema di Luigi Vincenzi. La stòria ad Frara int al Rinassimént, di sò marchés, di duca e dla sò glòria

Nato a Bondeno nel 1926 e scomparso nel 2011, il maestro elementare e colto poeta vernacolare dedicò al Palio un celebre scritto: in apertura un’invocazione in piena regola a "Buiard, Ariost e Tass" .

Le prove dei cavalli in piazza Ariostea, propedeutiche alla corsa finale che, anche quest’anno, si terrà di sera (BusinessPress)

Le prove dei cavalli in piazza Ariostea, propedeutiche alla corsa finale che, anche quest’anno, si terrà di sera (BusinessPress)

Si può provare nostalgia per un tempo che non si è mai vissuto? Si può. Eppure sembra assurdo. Cosa può fregare a chicchessia del momento in cui Borso d’Este, nel 1471, rientrò in città non più da marchese, ma da duca, appena nominato dal pontefice a Roma? Perché si dovrebbe provare nostalgia per quell’istante? Perché, dunque, lo si dovrebbe rievocare? Lo spirito di unità che si cela dietro la storia dovrebbe essere una risposta sufficiente.

Ma non è solo questo. Nel Magnifico Corteo del Palio di Ferrara, in quello che precede le gare stesse…si rincorre soprattutto l’autenticità: una forma di realismo. Così non è più solo immaginazione o un comune fatto di nostalgia per un tempo che non si è mai vissuto: il tempo di Borso è anche il tempo del Palio e il tempo del Palio lo si vive tutti gli anni. È reale, è davanti a tutti. Questo proprio grazie ai preparativi che sottendono la manifestazione, all’impegno di contradaiole e contradaioli (davanti, ma anche dietro le quinte), che costruiscono ogni anno un evento ormai tradizionale, ma sempre nuovo e in grado di stupire: così il Palio non è più una rievocazione storica. Sono pochi i cittadini che lo seguono per una specie di orgoglio (un po’ anacronistico, per non aggiungere altro) di discendere da Borso: la maggior parte sente nel Palio il conforto del quotidiano. È storia di amicizie e rivalità, di invidie e di amori, nati in certe serate che si fa tardi, sotto i chiostri di qualche convento adibito a sede. Il Palio è di padre in figlio, di nonno in nipote: è quindi sedimento, cromosomi, tradizione. Di conseguenza, non bisogna stupirsi se Luigi Vincenzi, chiamato ‘Tamba’, nato a Bondeno nel 1926 e scomparso nel 2011 – maestro elementare e colto poeta vernacolare in grado di elevare il ferrarese da lingua del popolo a linguaggio lirico –, decise di inserire nel primo verso del suo poema dialettale dedicato al Palio, "Al Palio ad Frara", un’invocazione in piena regola a "Buiard, Ariost e Tass": la letteratura del passato a supporto di quella del presente. Guardare indietro per vedere avanti: "gnim in aiut", è la preghiera di Tamba ai poeti illustri, "che a g’hò l’zzarvèl ’ch va in fass (il cervello che si allarga a dismisura) / par vlér rivivr’adèss, cóm s’al fuss iér, / al cmanzzipiar (il cominciare) dal Pàlio e d’ògni imprésa / dal Pòpul fata e dala Còrt frarésa". Vincenzi chiarisce subito le gerarchie: prima il popolo, poi la corte: il Palio non è questione d’élite, ma di imprese di donne e uomini comuni appartenenti ciascuno a una delle otto contrade, distinte dalle diverse divise araldiche: "A chi al Giamant, a chi la Paradóra, / l’Àquila in pie’ con l’àla quasi dstésa, / Idra e Granata con tré vamp ad fóra, / Ròda, Unicòrann, Linzza con la bénda". E, infine, l’avvertimento: "e, aténti bén che, tuta la fazzénda / un fundamént la g’ha int la nòstra stòria: / la stòria ad Frara int al Rinassimént, / di sò Marchés, di Duca e dla sò glòria". Di nuovo un ritorno al passato, dove tutta la "fazzénda" ha "fundamént", a partire dalla storia di ogni singola contrada, che nelle pagine che seguono tratteremo seguendo il poema di Tamba, pubblicato la prima volta nel 1987 e, di nuovo, insieme a testi di Dino Tebaldi e Stefano Lolli, nel 1992.

Ci prendiamo la responsabilità di rispolverarlo, inserendoci nella catena della tradizione: di nonno in nipote, di padre in figlio, di giornale in lettore.