Vasco Rossi, "I primi trent’anni del Blasco? Ve li racconto con la sua voce" / FOTO

Nel libro di Mangiarotti il rocker si confida come mai prima

Tania Sachs, Arturo Bertusi, Marco Mangiarotti e Pierluigi Masini al Mata (Foto Fiocchi)

Tania Sachs, Arturo Bertusi, Marco Mangiarotti e Pierluigi Masini al Mata (Foto Fiocchi)

Modena, 20 giugno 2017 - I primi trent’anni della più grande rockstar italiana raccontati dalla sua voce. Dall’infanzia di Zocca al 45 giri di Jenny e Silvia, dalla provincia dove ed era meglio fare il ragioniere alla consapevolezza di avere qualcosa da dire con la musica. C’è tutto questo e molto altro nel libro ‘Il giovane Vasco – La mia favola rock’ (in vendita con i quotidiani QN, Il Resto del Carlino, Il Giorno e La Nazione), che ieri il suo autore Marco Mangiarotti ha presentato in quel di Modena, città che tra una decina di giorni, il 1 luglio, ospiterà il concerto dei concerti del Blasco. (FOTO)

Nella cornice del Mata – in compagnia della portavoce del cantante Tania Sachs, Arturo Bertusi e Pierluigi Masini, direttore Progetti e iniziative editoriali del Gruppo Poligrafici editoriale – il giornalista e critico musicale ha ripercorso quello che nella prefazione dell’opera definisce «il primo tempo di un film. Se chiudi gli occhi puoi sentire e riconoscere la voce di Vasco». E pagina dopo pagina, la sensazione è di un dialogo tra amici (il cantante e Mangiarotti lo sono da più di quarant’anni) che tra salti narrativi e giravolte temporali ti fa vivere in prima persona l’infanzia di Vasco con la vittoria dell’Usignolo d’Oro, l’avventura a Punto Radio, i primi passi da dj e poi ti accompagna nei ricordi più intimi del rocker quando, per esempio, a 17 anni «feci per la prima volta l’amore con una ragazza di Modena che ringrazio ancora». Tra episodi inediti e confidenze – il tutto farcito con foto mai viste e ritagli di nostalgia – l’artista racconta dei concerti improvvisati in cui «c’erano più persone sul palco a suonare che ad ascoltarci», della triste mattina in cui «mi chiamarono per dirmi ‘Sveglia che papà è morto’», dei primi soldi fatti come Dj Resident allo Snoopy e l’alba chiara di un’icona generazionale. «Fin dall’inizio – spiega Mangiarotti – Vasco si è messo in gioco totalmente, si è presentato nudo e ha raccontato la sua verità senza compromessi».

Impossibile riassumere in poche righe l’intensa epopea giovanile del Blasco, ma Mangiarotti – durante la presentazione e a margine – cerca di isolarne i passaggi più indelebili: «Su idea di Tania, io e Vasco abbiamo deciso di scrivere qualcosa che potesse sopravvivere al clamore mediatico del Modena Park, volevamo ripensare alla sua prima parte di storia quando io facevo il militare e ci incontravamo a Punto Radio dove lui metteva su i dischi dei cantautori e io il jazz. Il libro – continua Mangiarotti – è frutto di tre lunghi pomeriggi passati insieme nell’arco di quaranta giorni. Vasco mi ha costretto a cambiare qualche passaggio – scherza il giornalista– ma era la prima volta che si apriva così tanto e l’ho compreso. Abbiamo riso tanto ed è stato bello ritrovarlo colto, spontaneo e ironico come lo avevo conosciuto». Capitolo dopo capitolo emergere la complessità artistica del Kom, a volte sottovalutata: «Vasco è stato inizialmente un musicista, ha studiato chitarra, pianoforte ed era un cantautore. Ha sempre voluto essere diverso e unico». E per Mangiarotti solo il rock poteva essere la cornice adatta ai testi del cantante: «Era l’unica musica che poteva accompagnare le sue storie, un rock che non ha mai voluto seguire le mode». Quando poi le cose iniziano a girare e il rocker firma per la Targa (un’etichetta creata appositamente per lui da Mario Rapallo e dal boss della Saar, Guertler), l’artista sembra ancora restio al grande salto: «Vasco – prosegue Mangiarotti – non aveva voglia di andare a Milano a fare sentire i provini e spesso ci pensava Curreri. Capitava addirittura che Rapallo venisse al casello di Modena Sud per ascoltare le nuove canzoni in macchina».

E ora dopo quarant’anni chi è il rocker di Zocca? «È sempre lui, nonostante le sue molte vite – confida Mangiarotti -: un rock-autore e un provoc-autore, come lo chiamo io, che non ha mai copiato nessuno, una rockstar italiana sempre per lucida scelta».

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