"Kobe Bryant, il mio miglior amico". Così una leggenda è nata in Emilia

Christopher Goldman Ward, reggiano d’adozione come il campione scomparso, ha scritto un libro sul fenomeno

Kobe Bryant con Christopher Goldman Ward

Kobe Bryant con Christopher Goldman Ward

Reggio Emilia, 20 gennaio 2022 - Esce oggi "Il mio Kobe L’amico diventato leggenda", il volume scritto da Christopher Goldman Ward, nato a Varese nel 1977, ma cresciuto a Reggio Emilia, fianco a fianco con Bryant, leggenda Nba. Prefazione di Federico Buffa per Baldini+Castoldi (18 euro): uno spaccato di vita per rivedere da un punto di vista privilegiato, la crescita di un campione. Formatosi in Italia, come ragazzino, prima di conoscere la gloria nella Nba. Una storia d’amicizia e di amore fraterno, che commuove e fa sorridere, perché rende Kobe una volta di più ’eterno’.

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Christopher Goldman, ripartiamo dalla fine? "Cioè".

Dal suo abbraccio a Kobe. "Già, nel 2016. E’ qualcosa che mi porto dentro. L’ultima volta che l’ho visto, l’ho abbracciato. Il mio amico Bryant".

Possiamo definirla il migliore amico di Kobe? "A livello assoluto no. In Italia sì. A Reggio Emilia siamo cresciuti insieme".

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Possiamo definire il suo libro un atto d’amore? "Lascio ad altri il giudizio. E’ qualcosa di inedito, originale e introspettivo. E se non ci fosse stato il lockdown di mezzo non sarebbe mai venuto alla luce".

Com’è nata l’idea? "Più che un’idea è stata un’esigenza. Lavoro come architetto. Durante la pandemia ero confinato a casa, senza fare nulla. Tiravo a un canestro. Molti amici o anche semplici conoscenti, mi hanno chiesto – Kobe era scomparso da poco – di raccontare com’era ai tempi di Reggio Emilia. Ho cominciato a mettere insieme un aneddoto dopo l’altro. Così è nato il libro. Non sono uno scrittore, ho frequentato il liceo classico Ariosto a Reggio Emilia, ma non avevo pensato di mettermi a scrivere. E’ stato un lungo lavoro".

L’incontro a Los Angeles, nel 2016, ha i contorni della favola. Merita di essere ricordato. "Lo so che sembra una favola, ma è tutto vero. Eravamo rimasti d’accordo che sarei andato a trovarlo con la mia famiglia. Ma non avevamo fissato una data. Siamo partiti per gli States".

Mentre Kobe stava prendendo congedo dalla Nba. "Partita contro Denver, trovo i biglietti. Sono 3-4 file sopra la sua postazione. Negli States non puoi muoverti, rischi grosso. Ci sono 20mila persone osannanti. Impossibile farsi notare. Fino a quando..."

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Quando? "Un attimo di silenzio assoluto. Urlo con tutta la voce che ho in gola il suo nome. Kobe si gira, riconosce la voce, mi cerca con lo sguardo. Mi individua. Si tocca il cuore e mi fa segno di aspettarlo dopo la partita".

E dopo? "Sono entrato con la famiglia negli spogliatoi dei Lakers. Come un amico".

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Ma chi era più forte tra lei e Kobe ai tempi di Reggio? "In realtà c’era un altro ragazzo, che era più forte. Ma a 12-13 anni ero più sviluppato e ne approfittavo. Ma Kobe aveva una tecnica e una dedizione al lavoro unica".

C’è tanta Reggio Emilia nella vostra amicizia. "Le visite a casa sua. Sembrava un consolato. Aveva le consolle di ultima generazione, giochi che in Italia non erano arrivati, Vhs in lingua originale. E anche cibo americano. Suo padre, come il mio, spesso si riforniva alla base americana".

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Sempre in contatto al punto che... "Quando è tornato in Italia, dopo aver firmato il contratto con i Lakers, siamo andati insieme a Milano per un tour Adidas. Ho girato per cinque giorni su una Limousine bianca con interni di velluto rosso. Siamo andati all’Hollywood. Cinque giorni di notorietà riflessa grazie al mio amico".

Tanti ricordi e tante partite fa di voi. E pure un aneddoto curioso. "Giocavamo sotto il garage di casa. Eravamo il solito gruppetto di amici. Lui arriva e serio dice: ’Mi dà fastidio il ginocchio. Non vorrei compromettere la mia carriera Nba’. E non gioca".

E voi? "Lo abbiamo mandato a quel paese, come si fa a quell’età. Lui aveva una sicurezza e una certezza uniche. Fin da quando aveva 12-13 anni sapeva che sarebbe andato nella Nba. E così è stato".

Si è tatuato qualcosa per ricordarlo? "No, niente tatuaggi. Piuttosto un altro evento che ci ha resi più uniti. Si ruppe il tendine d’Achille. Gli mandai la foto della mia cicatrice".

Parla spesso di Roosvelt Bouie e cita anche Giordano Consolini. "Bouie resta il mio zione. Giordano, che nel frattempo è tornato ad allenare a Reggio Emilia, è il più grande coach-formatore che abbia conosciuto".

E Kobe? "Il mio migliore amico".