Amnesty sui poliziotti arrestati a Verona: come 22 anni fa a Bolzaneto

La tortura, sottolinea Riccardo Noury, portavoce della ong, non serve a scopo di sicurezza “ma solo per esibire potere su coloro che ne sono privi. È un'espressione di odio, nascosta dietro una divisa”.

Una delle campagne di Amnesty international Italia contro la tortura

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Verona, 7 giugno 2023 - "A coloro che, in Parlamento e nel Governo, spingono per una revisione delle norme in materia di tortura con l'obiettivo, neanche mascherato, di abolirle, la cronaca dà contro. A Verona, un ispettore e quattro agenti di polizia sono sotto indagine per atti criminali che senza dubbio rientrano nella definizione di tortura, potenzialmente aggravata dall'odio razziale, perpetrati ai danni di persone, per lo più di origine straniera, sottoposte alla loro custodia. Inoltre, vi sono indagini in corso su un numero maggiore di individui che si sospetta abbiano cercato di coprire tali atti di tortura", ha commentato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, nella sua rubrica sul portale Articolo21.

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Come 22 anni fa a Bolzaneto

"Sembra di essere tornati alla caserma di Bolzaneto, 22 anni fa (il 21 luglio 2001 durante il G8 di Genova 93 manifestanti vennero fermati e trasferiti nella caserma di Bolzaneto dove subirono atti per cui l’Italia nel 2021 venne condannata dalla Corte europea dei diritti umani).

Agli indagati si contestano comportamenti 'gravemente lesivi della dignità delle persone'. Una formula giuridicamente corretta ma che proviamo a tradurre così: uso di persone come strofinacci per asciugare la propria urina, vanterie sui pugni assestati sul volto di persone inermi, competizioni a chi picchiava di più", ha proseguito Noury. "Nel 2001, in Italia, c'era chi sosteneva la necessità di una norma sulla tortura: non per vietarla, ma per regolamentarla, in risposta alle sfide senza precedenti del periodo post-11 settembre”.

Tortura espressione d’odio

"Ventidue anni dopo, da Verona arriva la conferma che la tortura serve non a scopo di sicurezza - non è mai servita né servirà mai - ma solo per esibire potere su coloro che ne sono privi. È un'espressione di odio, nascosta dietro una divisa. È un mezzo per annientare e umiliare. Quello che è accaduto a Verona, dunque, ci insegna due lezioni: il reato di tortura deve restare in vigore per punire chi si macchia di uno dei più gravi crimini internazionali, ma anche per tutelare la maggior parte degli operatori delle forze di polizia, compresi coloro che hanno contribuito agli sviluppi dell'indagine in corso. Non ci sono solo "mele marce" ma Verona dimostra che non c'è, almeno ancora, un 'sistema marcio'", ha concluso Noury.

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