Rimini, 4 marzo 2014 - «SONO ANDATO su per ammazzarla sapendo che mi sarei rovinato la vita e che non avrei più rivisto i miei figli. Però dovevo farlo. L’ho sempre amata e l’amerò sempre». Dritan Demiraj è crollato l’altra sera, dopo un paio d’ore che si trovava nella caserma dei carabinieri. E da quel momento è stato un fiume in piena. Ha raccontato la sua storia con Lidia Nusdorfi, del tradimento di lei con suo cugino, dell’abbandono e, infine, della decisione di ucciderla. Sembrava non vedere l’ora di confessare.

Un minuto prima negava e gridava «Avrei voluto farlo io», e quello dopo entrava nei particolari di una vendetta consumata a sangue freddo (il luogo del delitto - foto). L’hanno arrestato (foto) per omicidio volontario aggravato, ma insieme a lui, con l’accusa di favoreggiamento, è finito in carcere anche il suo datore di lavoro, Massimo Mengoni, titolare della bar pasticceria ‘Alter Ego’ che gli ha fornito un alibi falso per la sera del delitto. Senza sapere, giura, che stava coprendo un assassino. Indagata, invece, l’attuale fidanzata di Dritan, una giovane riminese che sabato sera l’ha accompagnato fino a Mozzate, il paesino del comasco dove si è comsumata la mattanza.

L’idea di ucciderla, dice, gli era venuta già dal 13 luglio dell’anno scorso, quando lei s’era andata di casa, dopo averlo tradito con suo cugino. Era stata Lidia a confessarlo. Era successo in Albania, dove la donna trascorreva tre mesi di vacanza dai genitori di lui. A mettere la pulce nell’orecchio a Dritan era stato il padre, e quando l’aveva affrontata, lei aveva ammesso la relazione. La loro storia che viveva già di alti e bassi (lei lo aveva denunciato per maltrattamenti ma poi aveva ritirato la querela), era andata in pezzi. Quel giorno di luglio, l’albanese era andato al mare con i bambini, e al ritorno non l’aveva più trovata. Sparita, abbandonando sia il figlio piccolo, avuto con lui, che il grande, frutto di un’altra relazione.

L’altra sera, Dritan ha raccontato di come fosse disposto a perdonarla, anche se il suo istinto di uomo tradito andava da tutt’altra parte. «Ti perdono, basta che torniamo insieme. Fallo almeno per i bambini». Niente da fare, nella testa lei aveva suo cugino. Lui andava in bestia ogni volta che lo sentiva nominare, ma a Natale era riuscito a convincerla a trascorrere qualche giorno a Rimini. Una visita di passaggio, poi se n’era andata di nuovo. Si sentivano per telefono, ma alla fine lei non ne voleva davvero più saperne, la sua vita era ormai lontana anni luce dall’ex compagno, in cui la furia omicida stava prendendo il sopravvento.

Per questo gli inquirenti sono convinti che a dare l’appuntamento a Lidia sabato sera in stazione sia una persona ancora da trovare. Qualcuno a cui Dritan aveva chiesto il favore di farla andare lì con una scusa, senza rivelarle che ci sarebbe stato anche lui.

«Ho comprato il coltello il giorno prima», ha raccontato agli inquirenti senza versare una lacrima. Poi si è messo in viaggio per Mozzate, guidato dal satellitare. Nel corso della lunga confessione, fatta alla presenza del suo difensore, Nicolò Durzi, Dritan si è ben guardato però dal dire che aveva chiesto alla fidanzata di accompagnarlo. L’ha detto lei spontaneamente ai carabinieri, quando, il pomeriggio di domenica ha messo insieme le cose e capito che l’assassino era l’uomo che amava.

Le aveva detto semplicemente che sarebbero andati a farsi un giro, e quando erano arrivati nel paesino del comasco, l’albanese era sceso, chiedendole di aspettarlo in macchina. La giovane sostiene di non aver saputo nulla nè prima nè dopo l’omicidio, ma la sua è una posizione che gli investigatori stanno ancora valutando.

Anche il suo datore di lavoro insiste nel sostenere che l’ha aiutato in buona fede. I figli di Dritan sono seguiti dai servizi sociali, e gli aveva chiesto di coprirlo per le sue assenze da casa. Se gli avessero fatto domande, bastava che dicesse che quella sera era al lavoro. L’ha fatto per un amico, dice, senza nemmeno immaginare che stava aiutando un omicida.

Alessandra Nanni