Rovigo, 20 aprile 2014 - QUANDO muore un ragazzo, sembra che, all’improvviso, il mondo si voglia fermare per tornare indietro e bloccare il tempo, così da allontanare e, se possibile, scacciare l’atroce momento della scomparsa. Quando muore un ragazzo giovane, pieno di vita, bello, alto e forte come Mattia, che fino al giorno prima sembrava scoppiare di salute, e che viene a mancare così, da un momento all’altro, cosa bisogna pensare?

Appena si viene a conoscenza della notizia, si avverte una fitta allo stomaco. Inizialmente, non si vuole credere a quanto si è appreso. Ci si sforza di pensare “No, non è vero”. Poi, ecco che la realtà prende il sopravvento e si avverte quel senso di mancanza, di vuoto, di assenza, che la morte, e specialmente la morte di un giovane, porta con sè.

Arriva il dolore, quello serio e profondo. Per la persona che non c’è più, per i familiari, per gli amici più stretti, per tutti noi che non potremo più avere il piacere di stare con quel ragazzo, le cui qualità ora ci sembrano così vivide e i cui difetti sbiadiscono di fronte al rammarico di una ingiusta privazione. E questa sensazione, insieme ad un senso di smarrimento e di angoscia, ci dà anche però uno slancio, che ci porta a capire che non dobbiamo sprecare nessuno dei minuti che la vita ci dona, che dobbiamo fare di ogni giorno un fiore, da portare sulla tomba di chi non ha avuto la fortuna di viverlo.

Carlo Cavriani