
Joe Bastianich (foto grande di Angelo Trani) con i colleghi di ‘Masterchef’. Nel tondo: l’Osteria del Sole di vicolo Ranocchi
Bologna, 7 Luglio 2018 - Se a Wim Wenders il rock’n’roll ha «salvato la vita», a Joe Bastianich, superstar dei fornelli italoamericana – a capo di un impero gastronomico che conta decine di ristoranti sforna libri bestseller e trionfa nelle prime serate televisive – è stato il country ad evitare, per usare le sue parole, costose sedute di psicoterapia. Il cuoco, scrittore e presentatore, infatti, ha scoperto una vena creativa sonora intimista, drammatica quasi, che contrasta con l’esuberanza del personaggio, e che lo porta il 10 luglio al BOtanique (via Filippo Re, ore 21.30) per un concerto, titolo Vino Veritas, con degustazione dei vini della sua tenuta in Friuli Venezia Giulia, terra di origine della sua famiglia.
Bastianich, davvero il palco di un rock club per lei ha più efficacia del lettino dello psicologo?
"Il concerto per me ha una funzione catartica, liberatoria, mi permette di mettermi a nudo, come invece non mi riesce in televisione. Sono lì, di fronte al pubblico, e cerco di confessare l’inconfessabile. E in questo, ovviamente uno o due bicchieri di buon vino aiutano a dire la verità, come suggerisce il motto latino".
Insomma, si trova a suo agio nelle vesti della rockstar...
"Per niente, sono molto più a mio agio in uno studio televisivo. Quando salgo sul palco, ogni volta, ovunque, perdo ogni sicurezza, tremo, non ho più quell’atteggiamento spavaldo che è il mio ‘marchio’ in televisione. Ma è la maniera migliore che conosco, sino a oggi, per essere me stesso, al di là delle apparenze del personaggio che ho creato".
Da dove arriva questa passione per la musica?
"Dalla mia infanzia, dal mio papà originario del Friuli che a tavola imbracciava la fisarmonica e cantava le canzoni della sua terra. Ho sempre pensato che, un giorno, avrei seguito le sue orme, non solo da un punto di vista della ristorazione, ma anche dell’espressione artistica".
Porta il suo concerto in una città, Bologna, che vive di musica, oltre che di cibo.
"Spero che, per quel che riguarda la musica, ci sia tra i bolognesi concordia maggiore di quella che c’è nella disquisizioni sul cibo. Solo in una città di appassionati, anzi, di devoti della cucina, possono nascere accese discussioni sulla superiorità della mortadella bolognese al pistacchio o di quella senza".
Per non parlare del dibattito sull’esistenza o meno degli spaghetti alla bolognese. Lo ha seguito?
"L’ho trovato di grande profondità, partecipare vuol dire davvero amare le proprie radici, le proprie tradizioni. Io, comunque, a proposito di tradizioni, nei miei ristoranti la scelta l’ho fatta. Il ragù serve per condire le tagliatelle, non gli spaghetti".
Torniamo alla musica. Se dovesse definire il genere della sue canzoni.
"Il mio repertorio nasce dalla profonda influenza che ha avuto su di me l’ascolto della musica country rock alternativa di fine anni 60 e degli anni 70. Ho consumato i dischi di Neil Young e dei Grateful Dead e mi auguro che qualche frammento di quelle passioni sia entrato nelle canzoni che eseguirò martedì al BOtanique".
Lei viene spesso a Bologna. Quale è il suo luogo del cuore in città?
"Nessun dubbio. L’Osteria del Sole in vicolo Ranocchi. È la mia casa a Bologna, un luogo irripetibile, perché si respira una atmosfera autentica, che ci parla in maniera spontanea, non artefatta, del buon vivere per il quale Bologna è famosa nel mondo".