’Andiamo a veglia’: Matteo Belli racconta fiabe e storie vere nella casa di Melchiade Benni

L’appuntamento stasera a San Benedetto Val di Sambro per la rassegna narrativa.

’Andiamo a veglia’: Matteo Belli  racconta fiabe e storie vere   nella casa di Melchiade Benni

’Andiamo a veglia’: Matteo Belli racconta fiabe e storie vere nella casa di Melchiade Benni

Una volta, nelle campagne, durante le sere invernali, si passava il tempo conversando e raccontandosi favole nelle stalle o davanti al camino. Fare serata, come sottolinea Matteo Belli, era quell’ ‘Andare a veglia’ che ora, da definizione di un rituale ancestrale, è diventato titolo di una serie di incontri appenninici nell’ambito del Festival Narrativo e del Paesaggio, che coinvolge tutta la Città metropolitana. Belli è narratore di queste veglie e stasera alle 20,30 sarà protagonista di ’Andiamo a veglia nel Mulino della valle’, nella casa del violinista Melchiade Benni, che nel 1972 (a 72 anni) viene ’scoperto’ dallo studioso di tradizioni popolari Stefano Cammelli, allievo dell’etnomusicologo Roberto Leydi. Qui ancora abita spesso suo figlio, con la moglie e la figlia Chiara. Prenotazione obbligatoria 340-1841931 – 345-4725895.

Belli, cosa proporrà in questa serata a San Benedetto Val di Sambro?

"Inizio le serate dedicate al tema del pericolo, che ho intitolate ’Al lupo! Al lupo!’. Saremo nella casa del musicista Melchiade Benni, e nelle mie storie riprendo le gesta dei fulèr, come si dice qui, o dei cantastorie. In particolare questa sera, forse la più teatrale di tutte, porto una storia scritta da me e due favole".

Di cosa parla la sua storia?

"Della famosa, per chi c’era, frana del 1994 a San Benedetto Val di Sambro. Perché i paesaggi dell’Appennino sono meravigliosi, ma anche pericolosi. Fu una frana minacciosa che aveva creato un lago artificiale sul torrente Sambro e se avesse mollato verso Bologna il fronte della frana, non sappiamo cosa sarebbe successo: si temeva una nuova Valtellina, una specie di Vajont con quegli undici milioni di metri cubi di roba. Fortunatamente non ci furono morti e anzi, il fatto vide una volontà politica italiana senza precedenti, poiché l’invaso fu prosciugato in due mesi con tubi lunghi 620 metri e il diametro di un metro fatti costruire alle fonderie di Taranto e portati su. Un concerto di intenti tra le università, le comunità montane, le vallate, la protezione civile, i carabinieri, l’esercito, la guardia forestale. Anche la frana può diventare una favola".

Lei di fiabe più tradizionali ne racconta due e una è bolognese.

"Sì, è quella del gobbo Tabagnino, dalle favole italiane di Italo Calvino, sempre sul tema del pericolo, col protagonista che affronta mille vicissitudini per accontentare un re, con arguzia e astuzia tipiche dell’eroe delle favole, e che supera i pericoli, spesso per ingraziarsi un personaggio che gli permetterà di fare un salto di qualità nella sua vita".

Benedetta Cucci

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