BEATRICE BUSCAROLI
Cronaca

’Bianche lenzuola’: l’arte è impegno civile

A Palazzo Saraceni fino al 19 gennaio la mostra di Carlo Soricelli, struggente denuncia di una società che umilia il valore del lavoro

A Palazzo Saraceni fino al 19 gennaio la mostra di Carlo Soricelli, struggente denuncia di una società che umilia il valore del lavoro

A Palazzo Saraceni fino al 19 gennaio la mostra di Carlo Soricelli, struggente denuncia di una società che umilia il valore del lavoro

Tebe dalle sette porte, chi la costruì? Così s’inizia la lunga interrogazione sulla storia composta da Bertolt Brecht (Domande di un lettore operaio). Una storia che dimentica, troppo spesso, che accanto alle grandi personalità, ai grandi avvenimenti, alle grandi edificazioni, c’è un protagonista irrinunciabile: il lavoro. È il lavoro che ha reso possibili le grandi imprese che si sono consumate nella storia. Il giovane Alessandro conquistò l’India. Da solo? /Cesare sconfisse i Galli./ Non aveva con sé nemmeno un cuoco?/Filippo di Spagna pianse quando la flotta/gli fu affondata. Nessun altro pianse?

Proprio così: le imprese hanno un costo, mutilano l’umanità che le ha affrontate. Generano pianto, disperazione, lutto. E oggi? Tutto risolto? La dignità del lavoro è finalmente riconosciuta e rispettata?

Poiché "Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società". (Art.4) e "La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni". (Art.35) Eppure, nonostante il dettato della nostra Costituzione, di lavoro si muore. E Carlo Soricelli, "metalmeccanico di professione, artista per passione, testimone infaticabile di impegno civile", come scrive il senatore Pier Ferdinando Casini, dà vita da oltre un quarantennio all’inferno dei viventi, dove degrado urbano, emarginazione, sfruttamento, rischiano di generare rassegnazione e paura. Più di novanta opere, esposte nelle sale di Casa Saraceni con il titolo ’Morti sul lavoro. Bianche lenzuola celano vuoti immensi’ a cura di L. Pantaleoni, fino al 19 gennaio, testimoniano la sconcertante vastità di questo fenomeno, che anima pitture e sculture, ceramiche e oggetti.

La pittura di Soricelli non ha nulla di naïf. È piuttosto intrisa di una matrice espressionista che pare affondare le proprie radici nel realismo sociale del Renato Guttuso degli anni Quaranta, come negli intrecci tra sogno e realtà del postimpressionismo di James Ensor. ’Non siamo tute vuote’, del 1998, sembra fornire una sintesi di questa duplice matrice: una crocifissione attorniata da maschere attonite, che elencano il dolore e la perdita dell’umano. O il sintetico, drammatico incunabolo di ’Morti bianche’, del 2011, dove sullo sfondo plumbeo di una periferia industriale le calzature di un “milite del lavoro” appaiono come unico reperto di un corpo ormai incapace di sostenere il peso della vita. Lo stesso accade nelle opere plastiche, una scultura fatta di materiali di recupero, di lacerti di vita sui quali si dispongono ancora una volta i fotogrammi di quella tragedia collettiva che passa sotto l’asettica dicitura di “morti sul lavoro”. Soricelli, distante da ogni accademismo, è un narratore implacabile degli esiti cui va incontro una società che umilia la complessità del lavoro. L’invito di Italo Calvino in avvio del catalogo L’inferno dei viventi è più che mai urgente: per non soffrire dell’inferno che abitiamo ogni giorno ci sono due modi. "Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio".