CLAUDIO CUMANI
Cronaca

"Casablanca, bello come un’opera lirica"

Corrado Augias oggi al Modernissimo alle 19,30 introduce il celebre film. Ma già alle 18 presenta il suo libro ’La vita s’impara’

"Casablanca, bello come un’opera lirica"

"Casablanca, bello come un’opera lirica"

Augias, perché stasera ha scelto di presentare al Modernissimo proprio ‘Casablanca’? È il film della sua vita?

"È uno dei dieci film che più ho amato – risponde sorridendo – è l’epitome del romanticismo. Dentro ci sono l’amore, il sacrificio, la Resistenza, la musica... Tutto questo, quando ero giovane, me lo ha reso indimenticabile".

Non solo la pellicola di Michael Curtiz, però. Lo scrittore, prima di introdurre alle 19,30 sul grande schermo la celebre e tribolata passione fra Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, presenta (sempre al Modernissimo ma alle 18) il suo ultimo volume ‘La vita s’impara’ (Einaudi) nel quale lui, novantenne, racconta di fatto l’avventura di una vita. La sua. E quindi l’infanzia in Libia, il ritorno a Roma, l’occupazione tedesca, il collegio cattolico, i primi passi nel giornalismo... "Ormai – racconta – vado al cinema di rado, solo per vedere i film di cui più si parla. L’enorme tv che ho a casa non sostituisce il fascino del grande schermo e la gioia dello stare insieme".

Cosa l’affascina di più in ‘Casablanca’?

"La bellissima struttura simile a quella di un’opera lirica: si parla di un amore contrastato e al posto di un baritono cattivo c’è un tedesco malvagio. Io comunque adoro Fellini, soprattutto ‘Amarcord’. Trovo anche ‘La dolce vita’ un capolavoro assoluto, il punto più alto di un’arte visionaria che si è andata disperdendo in mille rivoli. Racconta il Paese del benessere che va via via corrompendosi".

Hanno detto che il suo libro racconta la costruzione di un cittadino in un’Italia che cambia. È d’accordo?

"È una definizione che mi piace, visto che la mia narrazione mischia eventi personali a mutamenti sociali e politici. Spesso vengono in primo piano i fatti italiani, a prescindere da me. Mi sono reso conto nel tempo di quanto siano stati terribili gli anni della mia infanzia. Poi è arrivato il benessere. A vent’anni facevo la comparsa a Cinecittà. Ricordo un tipo che urlava in romanesco a noi che stavamo dietro ai cancelli in cerca di lavoro: ‘non preoccupatevi, arriva ‘Ben Hur’ e c’è da mangiare per tutti’".

Il secondo Novecento è stata una grande palestra intellettuale?

"Avrei voluto lavorare all’università, facendo l’assistente del professore Jemolo in Diritto ecclesiastico. Non è andata così. Di quel periodo ricordo riviste straordinarie come ‘Il Ponte’ di Calamandrei o ‘Il Mondo’ di Pannunzio. Adesso sono arrivato a 90 anni in discrete condizioni psicofisiche, non provo rancore, credo che la vita mi abbia dato più di quello che meritassi".

Perché ha tanto successo?

"Perché mi identifico con l’italiano medio e viceversa. Quando l’allora direttore di Raitre Guglielmi mi trasformò da funzionario Rai a conduttore di ‘Telefono giallo’ mi ritrovai sommerso da una popolarità imprevista ma non persi la testa. Magari in carriera qualche gomitata l’ho data ma con l’avanzare dell’età mi è subentrata serenità sui valori veri. Che sono l’amore verso chi ti è vicino, il rispetto degli altri, la cura dell’ambiente, la dignità...".

Nessun rimpianto, allora?

"Una sola frustrazione, non essere riuscito a fare il musicista. Conosco e studio la musica ma mi dà dolore non poterla praticare".