Damiani, scenografo rivoluzionario

La giornata di studi all’Accademia in occasione dei cento anni dalla nascita ’dell’architetto dell’effimero’

Damiani, scenografo rivoluzionario

Damiani, scenografo rivoluzionario

"Continui così, ha scelto la strada giusta". Chissà quante volte questa frase pronunciata da Giorgio Morandi sarà tornata in mente a Luciano Damiani. Lui, giovane allievo dell’Accademia, aveva appena curato una scenografia fatta di tubolari di ferro per L’imperatore Jones di Eugene ‘O Neil al Comunale e quella scelta aveva scatenato polemica e sfottò. Ma Morandi, ancora una volta, aveva visto giusto. È una storia che affonda le radici nel fertile clima culturale di un secondo Dopoguerra troppo spesso dimenticato quella di Luciano Damiani, uno dei più importanti scenografi del teatro internazionale del secondo Novecento che a Bologna è nato e si è formato (morirà a Roma nel 2007) prima del grande ‘salto’ al Piccolo di Giorgio Strehler e Paolo Grassi. E di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. Un anniversario che rischiava di essere dimenticato se l’Accademia di Belle Arti non avesse avuto deciso di organizzare domani a partire dalle 15 una giornata di studi a lui dedicata. Al convegno (intitolato Luciano Damiani. Architetto dell’effimero, costruttore di teatri, organizzato dalla scuola di scenografia e curato dalle docenti Natalia Antonioli, Benedetta Dalai, Lucrezia Ercoli e Vittoria Papaleo) sono previsti gli interventi di Carla e Anna Ceravolo, Stella Casiraghi e Danilo Gattai. Le prime due relatrici sono anche responsabili del piccolo Teatro di Documenti che Damiani ideò e costruì negli anni ‘80 nel quartiere Testaccio di Roma e che tuttora ospita regolari stagioni. "Attraverso la sua figura – dice la professoressa Dalai – vogliamo sottolineare il ruolo centrale che l’Accademia ha sempre avuto".

Il futuro inventore della ‘scenografia moderna’ nasce nel 1923 alla Bolognina e, bambino, vede dal terrazzo di via Serlio (come lui avrà modo di raccontare) la cupola del Sacro Cuore e i binari della stazione. La sua è una famiglia modesta e l’istituto tecnico Marconi è la scuola a cui pare destinato. Senonché... "Senonché – racconta ancora Dalai – un gerarca fascista ne scopre l’abilità nel disegno e lo indirizza al liceo artistico che frequenta anche grazie a una borsa di studio del collegio Venturoli". Il passaggio all’Accademia è d’obbligo. Sarà a una festa di matricole che Damiani incontrerà Sandro Bolchi e con lui comincerà a collaborare alla Soffitta, il teatro di via D’Azeglio 45 a cui dà vita un gruppo di giovani intellettuali. Lì passano esperienze d’avanguardia ma anche produzioni classiche: Memo Benassi fa Il tartufo di Molière, debutta la prima italiana del Malinteso di Camus, recita Salvo Randone.

Non solo: alcuni spettacoli approdano al teatro Comunale dove si tiene il primo festival della prosa. Damiani lavora alacremente, si confronta con Giorgio Trebbi e Farpi Vignoli, vince premi e espone. Poi il suo destino si allontana da Bologna: arrivano il Piccolo e la Scala, le collaborazioni con Ronconi e Gassman. "Dal rigore di Morandi – dice la professore Dalai – ha imparato la luminosità e la linearità decorativa". Per questo alcuni suoi spettacoli storici sono ancora oggi ricordati per un simbolismo che incanta.

Claudio Cumani