Delitto di Anzola, le perizie. Il gip: "Lui voleva uccidere"

Per il giudice Gualandi "aveva in mente l’omicidio" all’arrivo di Stefani. Ieri è iniziata l’autopsia ed è stato dato l’incarico agli esperti balistici .

Delitto di Anzola, le perizie. Il gip: "Lui voleva uccidere"

Delitto di Anzola, le perizie. Il gip: "Lui voleva uccidere"

Giampiero Gualandi "aveva già in mente l’omicidio" quando Sofia Stefani è entrata nel suo ufficio, nella ’Casa gialla’ di Anzola sede della polizia locale. Erano circa le quattro del pomeriggio del 16 maggio: dopo neppure tre minuti, lo sparo. Sofia, 33 anni, vigilessa come l’ex collega di 62 con cui aveva avuto una relazione, è morta sul colpo, raggiunta sotto l’occhio sinistro. E per il giudice per le indagini preliminari Domenico Truppa, l’ex comandante della polizia locale di Terre d’Acqua l’aspettava, armato. Con sulla scrivania il kit della pulizia della pistola, posizionata proprio per offrirgli l’assist difensivo del colpo partito per errore. È probabile che presto la Procura – pm Stefano Dambruoso e aggiunto Lucia Russo – contesti la premeditazione. Per avere un quadro preciso di cosa è accaduto dietro quella porta chiusa, sono stati dati gli incarichi per l’autopsia sul corpo di Sofia (iniziata ieri) e la perizia balistica. Tre mesi per le conclusioni. Intanto, i carabinieri faranno copia forense del contenuto dei telefoni di vittima e indagato, cercando pure di recuperare i messaggi cancellati.

Nell’ordinanza in cui dispone il carcere per Gualandi su richiesta del pm Dambruoso, il gip Truppa ha spiegato di ritenere poco credibile e incongruente la versione resa in interrogatorio dall’indagato. Il quale ha raccontato di un colpo partito per sbaglio durante una colluttazione tra lui e Stefani, di cui non aspettava la visita; la donna lo avrebbe aggredito perché adirata per la fine della loro relazione, dato che l’ex comandante, sposato, l’aveva lasciata qualche settimana prima.

Ma i tabulati rivelano di 15 telefonate fatte da lei all’uomo, quel giorno. E un testimone, già sentito dai carabinieri, ha raccontato di una telefonata tra i due fatta dal suo cellulare,chiesto in prestito dalla vittima: lì lei avrebbe anticipato il proprio arrivo al comando. Dunque, all’arrivo di lei, Gualandi, "esasperato", dice il giudice, avrebbe impugnato la pistola, presa apposta poco prima dall’armeria, e avrebbe fatto fuoco, per poi "simulare una tragica fatalità". "Una spiccata pericolosità sociale", chiosa il gip: "L’utilizzo dell’arma contro un soggetto disarmato esprime una particolare mancanza di controllo e di consapevolezza. Le inquietanti modalità esecutive denotano non comune freddezza e disarmante facilità di ricorso all’uso di arma con effetto letale". La difesa promette ricorso al Riesame.

f. o.