Giulio Scarpati: "Amo l’ironia di Kundera"

Sarà domani a San Filippo Neri con ’Eduard e Dio’ "Mette al bando ugualmente ideologie e religioni".

Giulio Scarpati: "Amo l’ironia di Kundera"

Giulio Scarpati: "Amo l’ironia di Kundera"

’Eduard e Dio’ è un racconto che Giulio Scarpati prende in prestito dagli Amori ridicoli di Milan Kundera. Nella Cecoslovacchia dei primi anni Sessanta, Eduard trova lavoro come insegnante grazie alla raccomandazione di una direttrice zitella, fedele al regime e sensibile al fascino giovanile. Ma il protagonista si fidanzerà con Alice, una bella ragazza tanto religiosa da non potersi concedere. "Con questo racconto Kundera mette al bando sia fanatismo e bigottismo –spiega l’attore – che le convinzioni ideologiche". Protagonista della fortunata serie Un medico in famiglia e una carriera divisa tra televisione, cinema e teatro, Scarpati porta in scena lo spettacolo domani alle 20,30 all’Oratorio San Filippo Neri. Scarpati, perché la scelta di Eduard e Dio dagli Amori ridicoli?

"Quando l’ho scoperto me ne sono innamorato. Lo spettacolo è anche un omaggio al grande scrittore dopo la sua scomparsa che con l’arma dell’ironia, in questo testo, ha messo al bando le convinzioni ideologiche e religiose".

Come mette in scena il racconto?

"Ho aggiunto le musiche tra un capitolo e l’altro. Sono registrazioni che ho realizzato assieme al maestro Lamberto Macchi, mi ha aiutato a unire le note dell’Internazionale all’Adeste Fideles. Da un lato il regime comunista, dall’altro la religione".

Lei è credente?

"Io ho ricevuto un’educazione cattolica, anche se mia mamma era protestante, ma crescendo mi sono discostato dalla Chiesa. Più tardi ho avuto la fortuna di interpretare Don Luigi di Liegro, che fondò la Caritas, Don Zeno e padre Toni (personaggio ispirato a Ezechiele Ramin), comboniano trucidato in Amazzonia. Questi personaggi mi hanno aiutato a capire che quando la Chiesa è vicina agli ultimi e alle persone in difficoltà riveste un grande compito. Questo mi ha riconciliato con la fede e, ora, con papa Bergoglio, mi sembra che le cose stiano cambiando in meglio".

A teatro, a quale personaggio rimane più legato?

"Ero molto giovane e interpretavo un ragazzo affetto da disturbi psichici in Orfani di Lyle Kessler. Sul palco con me, nel 1987, c’erano Sergio Fantoni e Ennio Fantastichini. Lo portammo a Bologna, al Duse, e alloggiammo all’hotel Roma, era la prassi per gli attori all’epoca".

Al cinema?

"Rosario Livatino, giudice ucciso dalla mafia nel 1990. Lui era molto credente, ma la sua affermazione più famosa è: ‘Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili’. Un esempio di grande giustezza morale".

In televisione, Lele Martini?

"Sono grato a Un medico in famiglia, perché ho fatto crescere tanti bambini e ragazzi con l’idea di un papà che deve essere attento e aperto al dialogo".

Amalia Apicella