Il periodo del silenzio: "La via giusta è l’ascolto"

Francesca Manfredi domani alla Coop Zanichelli con l’ultimo romanzo in cui la protagonista si rimuove dai social, fino a smettere di parlare.

Il periodo del silenzio: "La via giusta è l’ascolto"

Il periodo del silenzio: "La via giusta è l’ascolto"

Che cosa succederebbe se, una sera, decidessimo di cancellare le app del telefono, sparissimo dai social? Un black out della comunicazione che per Cristina, protagonista e io narrante dell’ultimo romanzo di Francesca Manfredi, si spinge fino al limite: smettere di parlare. Prima mantenendo un contatto con biglietti e poi sottraendo(si) sempre più. Una progressiva sparizione dal mondo che diventa ancora più paradossale quando la sua storia diventerà virale. Ne Il periodo del silenzio (La Nave di Teseo) la scrittrice reggiana – vincitrice del Campiello Opera Prima nel 2017 con Un buon posto dove stare – tocca i temi della solitudine e delle incertezze di un’epoca. "Una storia che finisce in un abisso", spiega prima di presentarlo domani, alla Coop Zanichelli alle 18, con la editor Chiara Spaziani. Un ritorno a Bologna, cui la scrittrice è legata: "Da reggiana, la associo alla mia adolescenza, ai primi giri con le amiche. Ci penso con un po’ di nostalgia".

Manfredi, perché questa esplorazione del silenzio?

"Il fatto di rimuoversi dai social oggi non è così inconsueto, ma di solito limitato nel tempo. Per Cristina invece detta l’inizio di un percorso in cui farsi domande sulla comunicazione, fino a sentire la necessità di prendersi un periodo di silenzio, sentendosi sopraffatta".

Un silenzio non solo dai social, ma non solo.

"É una storia che ho sviluppato anche io nell’arco di 5/6 anni, che ha combaciato con il silenzio globale della pandemia da cui tutti siamo usciti cambiati. Ci siamo riscoperti più insofferenti, più sensibili ai suoni. In Cristina c’è qualcosa che non riesce più a sopportare, nota che si è persa la capacità di ascoltare, di un vero dialogo. Dare un’opinione sembra diventato un imperativo morale".

Cristina ha studiato Archeologia e ha un lavoro precario. Questo aspetto influenza la sensazione di asincronia con il mondo esterno?

"Ha insicurezze personali che la portano a temere il giudizio e arriva a pensare, come disse Cesare Pavese prima di suicidarsi, a una cura del silenzio. Per lei è un gesto purificatorio".

A proposito dei social, nel libro si dice che le persone ’stanno in piedi’ solo se ricevono conferme.

"È la società della performance, ora più radicata: i social hanno cambiato anche il mondo in cui ci comportiamo fuori. Per quanto mi riguarda, scrivendo libri sono sempre esposta a un confronto: è una cosa stimolante, ma anche debilitante. C’è l’idea che bisogna sempre comunicarsi bene, vendesi bene".

Quella di Cristina è una reazione forte, ma anche una fuga. Un’altra via è possibile?

"È una fuga al 100%, anche se prenderà contorni inaspettati, come l’isolamento sociale. Una via possibile che non sia una fuga richiede un sacco di pazienza. Anche io ogni tanto mi sento sopraffatta: quello che distingue questa epoca è che lavoriamo tantissimo, con lavori che ci formano la mente, siamo sempre reperibili. C’è bisogno di una comunicazione assertiva, di spiegare i proprio bisogni senza prevaricare l’altro. Anche se è difficile trovare il confine".

Qual è la sua idea di silenzio?

"Sono una grande sostenitrice del silenzio, ho sempre avuto la tendenza a isolarmi per qualche ora, magari dopo una giornata di socialità. Ma penso a un’idea di silenzio che prevede un ascolto e che nutre il rapporto sociale".

Letizia Gamberini