FEDERICA
Cronaca

Il vigile resta in carcere. L’accusa della Procura: "Gualandi attese la collega e le sparò dalla scrivania"

Il giudice dispone la custodia alla Dozza: "Personalità instabile, può rifarlo". E potrebbe arrivare la contestazione dell’aggravante della premeditazione. Ma lui in aula si difende: "È stato un incidente, Sofia voleva prendere la pistola".

Il vigile resta in carcere. L’accusa della Procura: "Gualandi attese la collega e le sparò dalla scrivania"

Il vigile resta in carcere. L’accusa della Procura: "Gualandi attese la collega e le sparò dalla scrivania"

Orlandi

"È entrata nel mio ufficio infuriata, ha buttato a terra la mia giacca, mi ha colpito con un ombrello e un calcio. Poi ha cercato di afferrare la pistola sul tavolo, forse per colpirmi alla testa. Ho cercato di togliergliela dalle mani. Nel tira e molla, il carrello dell’arma è entrato in sede ed è partito il colpo. È stato un terribile incidente". Giampiero Gualandi, polo blu smanicata e sguardo fisso davanti a sé, ha parlato un’ora e mezza all’udienza di convalida del fermo eseguito nei suoi confronti, giovedì. Dopo che un colpo della sua pistola ha ucciso Sofia Stefani, collega di 33 anni con cui aveva avuto una relazione. I due vigili erano nell’ufficio di lui, al comando di polizia locale di Anzola.

Durante le dichiarazioni, Gualandi si è anche commosso. Ha ribadito che benché da un paio di mesi avesse lasciato la ragazza, cosa cui lei non si rassegnava cercandolo in maniera "insistente e pressante" e causandogli "stress", lui le voleva bene e l’aiutava sul lavoro (il contratto di Sofia con la polizia locale di Sala da poco non era stato rinnovato). Sul perché avesse l’arma carica sul tavolo, benché il suo lavoro d’ufficio non ne richiedesse l’uso, ha ribadito: "L’avevo pulita in vista dell’esercitazione al poligono che avrei dovuto fare a breve. Non aspettavo Sofia, è arrivata all’improvviso". Versione che non ha convinto il gip Domenico Truppa, che non ha convalidato il fermo, ritenendo che al momento della sua esecuzione non ci fosse pericolo di fuga (fu l’indagato stesso a chiamare il 118, e attese i carabinieri sul posto), ma ha accolto la richiesta del pm Stefano Dambruoso di custodia cautelare in carcere, dati i "gravi indizi di colpevolezza emersi a suo carico" in questi giorni e "il pericolo che reiteri il reato", data la sua "personalità instabile" e, ora sì, pure che fugga.

Gualandi, 63 anni, è accusato di omicidio volontario aggravato da futili motivi e legame con la vittima. Sofia, centrata dal proiettile sotto l’occhio, non ha avuto scampo. Secondo i primi rilievi, il colpo sarebbe stato sparato dal basso verso l’alto. Compatibile con una colluttazione, sì, ma anche con un’altra ipotesi al vaglio: che l’uomo l’abbia attesa seduto alla scrivania e, quando lei gli si è avvicinata, abbia fatto fuoco. Anche la storia della pulizia della pistola per l’accusa fa acqua. In primis per la coincidenza del suo ritiro dall’armeria proprio 30 minuti prima dell’arrivo di Sofia, poi perché di solito si sistema dopo le esercitazioni, non prima. E salvo casi particolari, è lo stesso poligono che offre il servizio: perché Gualandi proprio stavolta aveva deciso di farlo da solo? A fronte di questi dubbi, non si esclude che presto la Procura decida di contestargli la premeditazione. Una perizia balistica sarà disposta sul colpo letale.

Qualche certezza, in questa fosca vicenda, c’è. Lo sparo che ha squarciato la quiete della ’Casa gialla’ di Anzola è avvenuto attorno alle 16. A chiamare il 118, come detto, Gualandi: correte, c’è stato un incidente. I due agenti in servizio quel pomeriggio hanno raccontato ai carabinieri di avere visto poco prima Stefani entrare "di soppiatto" al comando, ma non si erano stupiti perché con l’ex collega i rapporti erano tesi ed era già successo che lei volesse evitarli. Non più di un paio di minuti dopo, lo sparo dall’ufficio chiuso.

Ancora. La telecamera del Telepass del casello di Sala ha inquadrato la ragazza in moto cinque minuti prima della chiamata al 118 di Gualandi. Da lì al comando, ci vogliono due-tre minuti. Dunque, il confronto tra i due non può esserne durato più di un paio. Abbastanza. L’indagato ha sostenuto che "non s’aspettava" l’arrivo della ragazza. Eppure quel pomeriggio, dicono i tabulati, lei l’aveva chiamato 15-20 volte. L’ultima telefonata tra i due, durata qualche minuto, era stata chiusa sette minuti prima di quella al 118 di cui sopra. Gualandi dunque, per l’accusa, non poteva non sapere che lei era in arrivo. C’è dell’altro. Poche ore e anche il giorno prima della sua morte, Sofia era stata contattata dalla moglie di Gualandi, che le aveva intimato di lasciare in pace il marito, che la giovane aveva continuato a cercare opponendosi alla fine della loro storia. "Non le ho mai detto che avrei lasciato mia moglie, ma lei aveva intenzioni serie e quando l’ho lasciata l’ha presa molto male", ancora Gualandi.

"Questo non è il caso Cecchettin, non è un femminicidio. Usiamo la logica: lui avrebbe messo in piedi lo stratagemma della pulizia della pistola per uccidere la ragazza in ufficio? Senza via di fuga, con la certezza di una condanna quantomeno per omicidio colposo? Assurdo. Faremo ricorso al Riesame contro la misura", così l’avvocato di Gualandi, Claudio Benenati.