CLAUDIO CUMANI
Cronaca

La gabbia senz’aria di chi aspetta Godot

Da giovedì all’Arena del Sole il dramma di Beckett firmato dal visionario regista Terzopoulos, con Enzo Vetrano e Stefano Randisi

La gabbia senz’aria di chi aspetta Godot

La gabbia senz’aria di chi aspetta Godot

E finalmente Enzo Vetrano e Stefano Randisi trovarono Godot. Era da tempo che i due attori, vicini da sempre alle suggestioni della grande drammaturgia del Novecento, pensavano a Beckett, alla sua beffarda concezione dell’attesa e alla sua complessità di pensiero. L’incontro con il regista greco Theodoros Terzopoulos, artista fra i più innovativi della scena contemporanea, ha segnato la svolta. Arriva all’Arena del Sole da giovedì 15 a domenica 18, uno degli spettacoli più interessanti della stagione, quell’ ‘Aspettando Godot’ di Beckett firmato appunto da Terzopoulos che vede Vetrano nei panni di Estragone e Randisi in quelli di Vladimiro. Con loro sul palco, in questo allestimento coprodotto da Ert, ci sono Paolo Musio, Giulio Germano Cervi, Rocco Ancarola. Un’imponente struttura scenica, pronta a squadernarsi in gabbie claustrofobiche, allude a un mondo in rovina che imprigiona i personaggi. È lì che i due vagabondi attendono, fra varie apparizioni, una vita che non verrà e un domani simile a oggi. Teatro dell’Assurdo e sul Nulla, certo, ma anche dialogo fra contemporaneità e dramma letterario. Lo spettacolo, al termine della lunga tournée italiana, sarà ospitato a Atene, Budapest e Shangai. Vetrano e Randisi parlano insieme, integrandosi nelle risposte. Cosa si deve aspettare il pubblico da questo Godot?

"Un Beckett attraversato dalla poetica e dall’estetica di Terzopoulos che, pur in una selezione coerente del testo, non toglie nulla ma sottolinea l’importanza di parlare a se stessi, ovvero di mettersi in comunicazione con l’altro dentro di sé. Perché più siamo isolati più esprimiamo la condizione umana. In ‘Aspettando Godot’ nessuno ricorda cosa è successo il giorno prima e tutto è basato sul momento. I personaggi sembrano reduci, più che da un deserto postatomico, dalle guerre che ora abbiamo imparato a conoscere quotidianamente".

Com’è stato lavorare con questo maestro?

"È un visionario capace dell’impensabile. Ricorda Leo de Beraradinis, a cui lo legano molte intuizioni. Ci ha portati a una recitazione non realistica ma vera, chiedendoci di ’essere’ e non ’fare’ il personaggio. La sua scenografia è un’installazione simbolica: un enorme quadrato che si alza e si allarga e che contiene Vladimiro e Estragone in orizzontale perché sognatori e gli altri uomini in verticale in quanto sottomessi".

In passato Giorgio Gaber e Enzo Jannacci interpretarono ‘Aspettando Godot’ e Walter Chiari e Renato Rascel ‘Finale di partita’: si può dunque recitare Beckett in vari modi?

"Il suo è sarcasmo e non clowmerie. È quella la sua enorme risorsa. Siamo di fronte a tragedie venate di umorismo: ci si può ridere sopra ma non ridere. Parlare di Beckett non è semplice: il film dedicato alla sua figura, ‘Prima danza, poi pensa’, che è ora nelle sale, non cita ad esempio per nulla l’attività intellettuale e letteraria".

Siete arrivati a Bologna nel ‘79 con il gruppo Daggide per poi entrare nell’82 in Nuova Scena. Come avete vissuto il teatro in città in questi 40 anni?

"Siamo stati fortunati, qui abbiamo potuto sviluppare il nostro modo di lavorare. E Bologna in tutti questi decenni ha saputo far vivere e vedere il teatro in maniera diretta. Questi segni sono presenti nel nuovo spettacolo che porteremo in giro con Nicola Borghesi ‘Grazie della squisita prova’. Il titolo si riferisce a una frase ironica che Leo rivolgeva in compagnia a chi non si impegnava".