MARCO BILANCIONI
Cronaca

L’agente sopravvissuto: "Messina Denaro mi sparò in Sicilia per ordine di Riina"

L’ex questore Germanà guidò la Criminalpol ai tempi della Uno Bianca. Lavorò con Borsellino e nel 1992 scampò a un agguato dei boss. "Ebbi paura, ma mantenni il sangue freddo e questo mi salvò"

L’agente sopravvissuto  "Messina Denaro  mi sparò in Sicilia  per ordine di Riina"

L’agente sopravvissuto "Messina Denaro mi sparò in Sicilia per ordine di Riina"

Bologna, 17 gennaio 2023 – Il primo pensiero, dice, sono i "complimenti ai carabinieri e a tutte le forze dell’ordine". Il secondo "a tutti i morti ammazzati". Calogero Germanà è un poliziotto in pensione: ex questore di Forlì-Cesena e Piacenza, e prima ancora responsabile della Criminalpol di Bologna ai tempi della Uno Bianca, quando indagò anche sul sequestro Soffiantini. Dal 2004 vive a Forlì. Il boss Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993 a ieri, quando è stato arrestato in una clinica di Palermo, ha alle spalle una ventina di omicidi e sette stragi, quelle di Capaci e via D’Amelio, ma anche di Milano e Firenze nel 1993 e condanne a quattro ergastoli. Nella lunga scia di morti ammazzati che si lascia alle spalle, ce n’è uno che manca alla lista, e che lo stesso Totò Riina gli rimproverava: lui, Calogero Germanà (per tutti, in Sicilia, semplicemente Rino). "Il mio pensiero – spiega – va a quelli che non ce l’hanno fatta".

Germanà, che effetto le fa la cattura di Matteo Messina Denaro?

"Mi sforzo di essere credente. C’è una preghiera che dice: confesso a Dio Onnipotente che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni. Consiglio a Messina Denaro di confessare i suoi peccati".

Il che avrebbe effetti, come dire, non solo spirituali.

"Certo".

Lei ha lavorato con il giudice Paolo Borsellino, della cui strage Messina Denaro è stato giudicato come uno dei responsabili. Avrebbe, secondo lei, qualcosa di interessante da svelare?

"Sono stato al fianco di Paolo Borsellino a Marsala e poi a Palermo. Quanto alla strage, questo lo sa solo Messina Denaro. Le indagini non si sono mai fermate".

Oggi è diverso ripensare al giorno dell’attentato contro di lei?

"Era il 14 settembre 1992, erano le 14,15 di un lunedì, a Mazara del Vallo. Ero tornato lì a giugno, dopo aver già guidato il commissariato. Stavo andando a casa di mia suocera (pausa): L’ho raccontato molte volte...".

Non le piace farlo?

"Non mi si dipinga come un super-poliziotto. Le cose non sono come si vedono nei film".

Con Matteo Messina Denaro, quel giorno, ci sono Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano.

"Mica tre picciotti. Tre boss di primo piano. Avevano pensato di appostarsi con un furgone, poi hanno cambiato piano perché non ero un tipo abitudinario. Dovevano aspettarmi in macchina. Avevano l’ordine di farlo tutti i giorni, finché non mi avessero beccato. E’ stato riferito che Totò Riina aveva detto che avevo fatto ‘assai danno’. Il che ovviamente significa che avevo servito bene lo Stato".

Lei è sopravvissuto a uno scontro a fuoco con tre mafiosi di quel calibro. Hanno sbagliato loro? O è lei che è stato più bravo?

"Questa è una domanda che cade nel mistero. Sono vivo per miracolo. Ma no, non sono stato bravo io. Ho reagito, ho sparato. Sì, ho avuto paura. Ma non mi sono impietrito, non gli ho mai dato le spalle, questo è stato decisivo. Altrimenti mi avrebbero falciato".

In questo c’era la sua preparazione come poliziotto.

"In quel caso, mi creda, la preparazione è mentale. Non fisica".

Cosa le ha lasciato quella brutta avventura?

"Sa, io ho tre figli. Il terzo è nato nel 1996, quattro anni dopo. Non si mettono al mondo dei figli se non si vede il futuro in maniera rosea".

Lei ha detto che ha avuto paura, ma non di quella che lascia impietriti: quella che spinge a reagire in maniera fulminea. E dopo? Ha avuto paura?

"Le rispondo come fece mio padre, in punto di morte. Come ti senti, gli chiesi. E lui mi disse: ho un po’ paura. E io lo stesso. Ho paura. Un po’".