ANGELO
Cronaca

Laura Betti, custode della memoria di Pasolini

Dal fondo della Cineteca dedicato all’attrice bolognese, emerge la corrispondenza con Ugo La Malfa e l’ammirazione per l’intellettuale

Laura Betti, custode della memoria di Pasolini

Laura Betti, custode della memoria di Pasolini

Varni

Artista dai molteplici talenti Laura Betti (nata all’anagrafe come Laura Trombetti a Casalecchio di Reno nel 1927 e morta a Roma nel 2004) seppe arricchire lo scenario culturale nazionale con le sue doti di attrice di teatro e di cinema, nonché di doppiatrice, di regista, di scrittrice essa stessa, come pure di cantante di raffinate composizioni a lei dedicate, riuscendo sempre a muoversi su toni di ricercata ed originale professionalità in grado, ad un tempo, di arrivare con la sua intensa e sensibile fisicità all’attenzione del pubblico più vasto - non ultimo quello della platea televisiva -, di cui seppe cogliere ed esprimere le pulsioni e le trasformazioni in corso tra gli anni Sessanta e Settanta.

Trasferitasi a Roma per immergersi nel tumultuante fluire di queste molteplici attività, vi conobbe Pier Paolo Pasolini, instaurando con lui un intenso sodalizio tanto artistico (fu interprete dei suoi film La ricotta, La terra vista dalla luna, Teorema, che le valse la Coppa Volpi quale migliore attrice nel 1968, I racconti di Canterbury) quanto affettivo che ne avrebbe segnato l’intero corso della vita. Al punto da farne non solo tenace custode della sua memoria dopo la tragica fine del poeta, ma pure indomita testimone dell’esigenza di comprendere a fondo la verità di quella morte che riteneva in gran parte colpevolmente negata. Con questo obbiettivo fondò nel 1983 e diresse per un ventennio il ’Fondo Pier Paolo Pasolini’, raccogliendovi preziosi materiali bibliografici e documentali a lui relativi, fin quando decise, nel 2003, di trasferire l’intera raccolta dall’originaria sede romana alla Cineteca della sua città natale, fondandovi il ’Centro Studi Archivio Pier Paolo Pasolini’.

Dopo la sua morte il fratello Sergio vi depositò pure tutto il prezioso materiale cartaceo, fotografico e sonoro dell’archivio privato della grande artista, da allora custodito in un fondo a lei intitolato. Proprio curiosando tra questa documentazione, ho trovato una, per tanti versi, inattesa corrispondenza tra Laura ed Ugo La Malfa, proprio riguardante la dimensione intellettuale e la funzione storico-politica di Pasolini.

Fu in un casuale incontro sul rapido Roma-Milano del marzo 1976 che l’attrice chiese all’allora presidente del Partito Repubblicano una testimonianza da inserire in un volume dedicato alla insanguinata memoria del poeta, da pochi mesi barbaramente ucciso. Era - spiegava Laura- "l’assumersi la responsabilità di non lasciare Pier Paolo solo in un luogo che non gli compete, in un luogo che lo riguarda solo in quanto egli ha troppo amato e troppo parlato". La Malfa acconsentì di buon grado e per questo il 12 maggio inviò una lettera-testimonianza dove dichiarava "la grande ammirazione per lo scrittore e per la sua capacità creativa e di analisi in tanti diversi campi". Ed in particolare per due manifestazioni della sua personalità artistica, quali, da un lato, "la capacità e di guardare al mondo squallido e doloroso delle borgate romane" e, dall’altro, per il suo rifiuto del neo capitalismo visto quale causa di simile degrado. Su tali valutazioni - spiegava - "si produceva dissociazione fra un artista come lui e un politico come me", convinto che "l’industrializzazione non dovesse necessariamente portare allo squallore della civiltà capitalistica, ma potesse superare anche il fenomeno della degradazione delle borgate romane".

Leggendo, infatti, - ricorda La Malfa - un articolo pasoliniano sul Corriere della Sera del 28 settembre 1975, lo avevano colpito le durissime accuse ivi lanciate contro la politica attuata nel precedente decennio "di benessere", colpevole di avere trascurato tutti i servizi pubblici essenziali, di avere approfondito il solco tra Nord e Sud del Paese, di avere compiuto scempi urbanistici e paesaggistici. Parole nelle quali lo statista ritrovava la sua stessa battaglia per l’Italia da lui sognata, "contro quell’Italia come Pasolini la vedeva , frutto di dieci anni di errori, di trascuratezze, di egoismi di malgoverno".

E a riprova di un tale impegno inviava al poeta un libro di suoi scritti L’altra Italia (con la dedica d’auspicio: "perché trovi un’alternativa alle condanne") accompagnata da una lettera dove non chiedeva, "come esponente politico, alcuna assoluzione" bensì tentava di dare risposte attraverso la proposta politica contenuta nel volume. Un libro - conferma Laura - assai gradito a Pier Paolo che "sentiva di dover superare delle montagne, delle dighe inesorabilmente troppo alte, per farsi ascoltare persino a livello di cittadino-parlante".

Era certo La Malfa che, "se la morte non avesse troncato una così fervida e appassionata vita" si sarebbe potuto sviluppare tra loro un rapporto in grado di favorire "un approfondimento di alcuni temi importanti attinenti alla nostra vita politica e sociale. Ma la fase che viviamo è di tale disordine e violenza che il povero Pasolini, colpito non si sa come e da chi, a quanto dichiara la sentenza, ci ha rimesso la vita, cessando da una presenza creativa così ricca e stimolante".