BENEDETTA CUCCI
Cronaca

L’Ottocento ritrovato della città

La mostra a Palazzo Fava racconta Bologna attraverso le opere della Fondazione Cassa di Risparmio

L’Ottocento ritrovato della città

L’Ottocento ritrovato della città

Davanti a ogni tela è un continuo "ma guarda com’era". Oppure: "Qui non c’erano questi negozietti", ma anche "incredibile questa veduta". La mostra Da Felice Giani a Luigi Serra, ovvero l’Ottocento nelle collezioni della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, al via oggi a Palazzo Fava in collaborazione con Genus Bononiae, è una grande ’fotografia’ pittorica (e pure scultorea) della nostra città, attraverso lo sguardo e la mano di 30 artisti che in oltre cento opere e sei sezioni e con la curatela di Angelo Mazza, danno vita a un suggestivo racconto che va dalla periferia ai colli, dall’ingresso delle truppe napoleoniche a Bologna fino allo scoppio della Grande Guerra, passando per la Bologna dei canali, dei palazzi, degli opifici, prima del grande cambiamento edilizio.

Ed è questa la mostra di commiato del consiglio d’amministrazione presieduto nel triennio da Filippo Sassoli de Bianchi e con consigliere delegato Gianandrea Rocco di Torrepadula. Un bella collezione in arrivo dai depositi che, come sottolinea Mazza, fa parte di un patrimonio che "la Cassa di Risparmio di Bologna ha accumulato in 100 anni e che si sarebbe potuto perdere, quando nel 1991 nacque la Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna". E prosegue: "Allora, se Fabio Roversi Monaco non avesse fatto una stima per un acquisto concordato, tutto questo patrimonio sarebbe rimasto alla Cassa di Risparmio, ora Intesa San Paolo, anche se naturalmente è stata un’intesa silenziosa ma dispendiosa che ha influito sul bilancio della Fondazione".

La pittura di paesaggio, da sempre considerata un genere a sè rispetto a quella di storia e a quella di figura, trova collocazione nella Sala Cesi con opere dedicate all’immagine della città che mostrano il passaggio dalla classicità a una più moderna rappresentazione del reale. A partire dalla Veduta di Imola, realizzata nel 1805 da Felice Giani, passando per i due Panorami di Bologna dal colle dell’Osservanza di Gaetano Filippo Tambroni, la Veduta di ponte di Riola con la Rocchetta Mattei, qui esposta per la prima volta e attribuita a Ottavio Campedelli. Il più noto e principale interprete del vedutismo urbano bolognese è tuttavia Antonio Basoli di Castel Guelfo, che concepisce un nuovo modo di intendere lo spazio e il paesaggio, scevro da ogni teatralità e retorica e sempre più simile alla quotidianità. Luigi Bertelli di San Lazzaro di Savena è invece riconosciuto come il principale protagonista della rivoluzione naturalistica nella pittura di paesaggio, come dimostrano opere come Il canale con Chiusa, La casa di campagna e Il tiro a volo a Casalecchio di Reno.

Poi ecco Bologna ai tempi di Giosuè Carducci, quando la città stava iniziando a modernizzarsi col nuovo piano regolatore. Gli autori di queste vedute sono Antonio Zannoni, Giuseppe Ravegnani, Alessandro Guardassoni, Pietro Poppi, Alessandro Scorzoni, Emanuele Brugnoli. Un bozzetto ad acquerello di Adolfo De Carolis che progetta la decorazione per il nostro Salone del Podestà, conclude la mostra. E a questo punto Mazza si chiede perché da vent’anni "gli affreschi staccati giacciano ancora nel laboratorio di restauro Ottorino Nonfarmale".