BRUNO MIRANTE
Cronaca

Nasce ’Giornaliste italiane’: "Pari diritti e stop ai pregiudizi"

La cronista Ida Molaro spiega gli obiettivi dell’associazione che chiede pari opportunità nella professione "Abbiamo scelto di fare rete, ciascuna con la sua storia. Siamo brave, eppure non riusciamo a imporci".

L’associazione Giornaliste Italiane è un sodalizio che si definisce trasversale e vuole rispedire al mittente le critiche di chi le considera espressione del centrodestra. Abbiamo chiesto a Ida Molaro, cronista parlamentare di Mediaset, quale fosse la necessità di istituire una nuova aggregazione per affrontare le questioni di genere nella professione giornalistica.

Molaro, che bisogno c’era di una nuova associazione?

"Giornaliste italiane è un’associazione di cui c’era un gran bisogno, per ottenere più diritti, meno pregiudizi. Ci siamo accorte che molte associazioni esistenti nascono sulla scorta di un evento particolare e mantengono la memoria di quell’evento. Quello che mancava è un gruppo di giornaliste trasversali, anche se continuano a definirci sovraniste o di destra".

E invece siete trasversali...

"Io considero un fallimento quando di un giornalista si dice di destra o di sinistra, perché non si va da un medico perché è di destra o di sinistra, ci si va perché è bravo. Considero un fallimento per la professione se chi mi legge, legge la mia idea politica e non la notizia che invece sono chiamata a scrivere".

A proposito di eventi scatenanti e di trasversalità, avete dichiarato che l’ispirazione è data dalla fase storica che vede una donna a capo del governo e un’altra donna a capo dell’opposizione.

"Il famoso tetto di cristallo è stato rotto a livello europeo: Roberta Metsola a capo del Parlamento e Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione ne sono una dimostrazione. In Italia il segnale che considero ancora più rivoluzionario è quello che vede alla guida di una delle più grandi università europee, La Sapienza di Roma, una rettrice come Antonella Polimeni".

Qual è l’obiettivo del sodalizio?

"Quando ho iniziato la professione le donne nelle redazioni erano una minoranza, oggi invece siamo tante, siamo brave, eppure non riusciamo a imporci come dirigenti. Forse perché non riusciamo ancora a coniugare famiglia e lavoro? Perché non riusciamo a farci apprezzare veramente? Perché non siamo considerate affidabili? Su queste domande ognuna di noi ha portato la sua storia fatta di grandi pacche sulle spalle e poco più. Abbiamo scelto di fare rete. Negli ultimi anni il dibattito pubblico si è soffermato sull’utilizzo del termine direttora, storpiando di fatto l’italiano perché il termine direttrice esiste sia in termini geometrici che nel senso di donna che dirige qualcosa. Direttora, ministra, sindaca. Non è una vocale che cambia il mio modo di essere percepita. Vogliamo gli stessi diritti e le stesse opportunità dei colleghi uomini".