Pietro Aradori si racconta "Sportivo, curioso e ribelle La Fortitudo, scelta di vita"

La guardia biancoblù è l’ospite della nuova puntata del nostro podcast ‘il Resto di Bologna’ "Senza il basket? Avrei fatto il criminologo, in pandemia ho pensato di iscrivermi a quel corso"

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di Valerio

Baroncini

Lo chiamano doggy, il cagnaccio. E come gli animali più teneri e fedeli, il doggy sa anche graffiare, con una zampata. Improvvisa, dritta al punto, chirurgica. Pietro Aradori, 33 anni, protagonista del nuovo podcast del Carlino ‘il Resto di Bologna’, simbolo della Fortitudo e del basket italiano, prima capitano della Nazionale e ora califfo del PalaDozza, entra in modalità cagnaccio e, interrogato dalla redazione, si apre senza peli sulla lingua. Aprendosi sul Pietro-uomo e non solo sull’Ara-campione.

Aradori, le offriamo una possibilità: a chi darebbe una zampata, da vero doggy?

"Di critiche fastidiose ne ho ricevute talmente tante, negli anni, che non riesco nemmeno a ricordarle tutte. Ma una zampatina la darei al mio buonamico Bonamico (Marco, campione italiano con la Virtus tra gli anni ’70 e ’80, ndr) che aveva fatto riferimento a un mio post frainteso. Disse che ero passato da ‘No defense a no vax’ e sono sbagliate entrambe le cose".

Vi siete riparlati?

"Certo, gliel’ho detto. Ci siamo chiariti".

Diciamoci la verità: quando si diventa dei simboli, si ha talento, e si ricevono le aspettative di una comunità, le critiche vanno messe in conto. Altrimenti non sareste campioni.

"Beh, le critiche ci sono e ci saranno sempre. Viene criticato il migliore sportivo al mondo: pensiamo a Lebron James, Messi, Cristiano Ronaldo. Figuriamoci io... Le critiche alcune volte sono superiori alla realtà, ma cerco di viverle nella maniera più corretta e giusta possibile. Ogni persona le affronta in maniera peculiare: io, ad esempio, cerco di non esserne troppo influenzato".

Nella vita quando si arrabbia?

"Quando vedo incoerenza. E davanti alle menzogne".

C’è stato un momento buio nella sua vita?

"I momenti negativi ci sono sempre, secondo me è la maniera in cui si affrontano che fa davvero la differenza. Io cerco sempre di vedere il lato positivo e il bicchiere mezzo pieno: sono molto positivo, ho avuto i miei down, ma cerco di non buttarmi giù".

Il basket è la sua vita. Com’è nata questa passione?

"Grazie al Team 75 Lograto, nel bresciano, la squadra di mio padre. Io sono sempre stato appassionato si sport: sci, nuoto, tennis, poi ho scelto la pallacanestro".

E da Lograto ha iniziato a girovagare.

"Lumezzane, poi tre anni a Casalpusterlengo. Da lì è partito il mio percorso professionistico".

Lei che bambino è stato?

"Ero iperattivo, sportivo, un pochino ribelle, molto curioso. Curioso di tante cose".

Se non fosse diventato un giocatore di basket, cosa avrebbe voluto fare da grande?

"Il criminologo".

Criminologo? Come mai?

"Sono sempre stato, sin da bambino, curioso di tutto, lo dicevo prima. Mi intrigano le cose non chiare, mi piace andare a fondo dove c’è da capire e soprattutto mi piace scandagliare quello che non è stato capito. E durante la pandemia...".

Cos’è successo?

"Beh, ci ho pensato molto. Avrei voluto iscrivermi a Criminologia, ma c’era troppo diritto, non faceva per me. Quindi ho cambiato ramo".

Torniamo al basket. Imola è stata, nel 2006-2007, la sua prima squadra da pro.

"L’allenatore era Nando Gentile, una leggenda del basket italiano. Ed era molto amico di Enzino Esposito che ha scritto grandi pagine della storia italiana del basket e si allenava con noi ogni tanto. Ho cercato di rubare qualche segreto, non mi è riuscito molto bene (ride, ndr), ma siamo diventati grandi amici".

Da Imola ha conosciuto Bologna.

"Mi sono diplomato al liceo sotto i portici, ormai la frequento da 15-16 anni, ho appena preso casa".

E la Fortitudo?

"Non è solo una squadra, ma una scelta di vita. La mia vita".

Campione di basket, ma anche di stile: Aradori, cos’è lo swag?

"Un modo di vestirsi, non solo legato all’abbigliamento, ma all’atteggiamento, al modo di porsi. Non è solo una scarpa (dalle Yeezy alle Jordan 1 ma anche allo stivaletto elegante) abbinata a cappellino o camicia, ma uno stile generale, che poi tramuti nel modo di fare e di rapportarti e stare con la gente".

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