Poggiali, Re rompe il silenzio: "Accuse contrarie alla mia etica. La mia forza? Famiglia e amici"

L’ex primario dell’ospedale di Lugo racconta la sua lunga battaglia finita con un’assoluzione. Nel caso dell’ex infermiera e di una paziente morta rispondeva di omicidio con dolo eventuale.

Poggiali, Re rompe il silenzio: "Accuse contrarie alla mia etica. La mia forza? Famiglia e amici"

Poggiali, Re rompe il silenzio: "Accuse contrarie alla mia etica. La mia forza? Famiglia e amici"

di Federica Orlandi

BOLOGNA

Per la prima volta in dieci anni, Giuseppe Re, ex primario dell’ospedale di Lugo (Ravenna), ma residente a Bologna, ha scelto di parlare con la stampa. Lo fa all’indomani della sua assoluzione dall’accusa di omicidio con dolo eventuale della sua paziente Rosa Calderoni, l’8 aprile 2014.

Dottor Re, cosa è cambiato dopo la sentenza?

"La prima sensazione che provo è un insieme di pensieri persistenti, come in una sindrome da stress post traumatico. Considerazioni e valutazioni che nel corso di questi anni riemergevano ciclicamente. Mi sembrano anzi ampliati, non sono ancora passato alla fase successiva".

Che pensieri?

"La fatica a interpretare razionalmente quello che stava accadendo, in tutte le fasi del processo. Era talmente ampio lo scollamento tra quello che mi veniva contestato e il mio modo di curarmi dei pazienti nella mia professione, poiché ho sempre voluto curarli e intanto prendermene cura, che certe ricostruzioni erano estranee persino al mio modo di affrontare la vita".

Come ha affrontato questi anni?

"Famiglia e amici sono rimasti al mio fianco, lasciando che non fossi sommerso da quanto accadeva. Una volta un amico mi ha detto: Giuseppe, la tua forza può derivare solo dalla perfetta consapevolezza di essere nel giusto. Ecco, certe giornate erano più dure di altre, ma io, pur consapevole della sofferenza che stavo vivendo, ero certo di essere nel giusto. Sapevo che c’erano documenti che lo provavano e spiegavano chiaramente. Che certe accuse (quelle di avere omesso di vigilare su Poggiali e di denunciarla; di non avere tracciato il consumo del cloruro di potassio in corsia; di avere avviato indagini interne anziché denunciare a direzione e Procura i decessi sospetti, ndr) erano così facilmente confutabili, che dovevo continuare ad avere fiducia nella giustizia, perché tutto si sarebbe risolto".

Cos’è cambiato, dopo le accuse?

"Tutto. La mia attività di direzione del reparto di Medicina di quell’ospedale della Romagna si è interrotta. Io ero già in età pensionabile, ma mi era stato chiesto di rimanere altri tre anni. Quando è capitato il fatto, ho chiesto di non proseguire. Inoltre, le richieste d’aiuto di chi mi si rivolgeva per consigli medici si facevano sempre più rare. Ma quando capitavano, vinceva in me la gioia di potermi rendere utile al di fuori dei mostruosi schemi che mi erano stati calati addosso. Di poter continuare a offrire i miei servigi, secondo la mia etica".

Le è stato contestato l’omicidio con dolo. Con la volontà di uccidere una sua paziente, quindi. Eppure la Corte d’appello di Bologna, nel giudicare Poggiali, ritenne le sue condotte semmai "colpose". Una bella differenza. Se lo spiega?

"Ho avuto fiducia nella giustizia, perché erano accuse ricostruite in base all’operato di altri e non su comportamenti miei, che invece a mio parere furono adeguati e anzi virtuosi. E tutti, ribadisco, documentati: le misure che assunsi, le decisioni che presi, erano assolutamente in linea con le indicazioni dell’Azienda e mai ’irrituali’, come mi fu contestato".

E da domani, cosa succederà?

"Continuo a fare il dottore. Con impegno ancora maggiore. E i miei amici e la mia famiglia sapranno che la fiducia che hanno avuto in me è stata ben riposta: lo dicono anche i giudici, finalmente. Questi anni sono stati lunghissimi, ma ho avuto accanto il collegio difensivo migliore possibile: il compianto professor Filippo Sgubbi, e ora il professor Tommaso Guerini".