ALESSANDRO GALLO
Cronaca

Porelli, l’Avvocato che prevedeva il futuro

Scomparso nel 2009, ha rivoluzionato la storia Virtus. Giocatore e dirigente di tennis, viene indirizzato nella sezione dei canestri nel 1968

Porelli, l’Avvocato che prevedeva il futuro

Porelli, l’Avvocato che prevedeva il futuro

Nessuno l’ha mai visto realizzare un canestro o confezionare un assist. Nessuno l’ha mai visto in panchina per chiamare un timeout. Non è un giocatore né un allenatore ma, a Bologna e non solo, è da considerarsi un gigante. Se in tutto il resto d’Italia, la parola Avvocato, con la A maiuscola, fa pensare a Gianni Agnelli, all’ombra delle Due Torri l’associazione immediata è con Gianluigi ’Gigi’ Porelli.

L’Avvocato nasce a Mantova il 10 giugno 1930 e ci lascia il 4 settembre 2009. Sbarca a Bologna nel secondo dopoguerra per frequentare l’Università e la facoltà di giurisprudenza. E’ un buon giocatore di tennis e, con una racchetta in mano, entra in Virtus, prima come giocatore, poi come dirigente.

Nel 1968 il colpo di fortuna – per il basket –: l’Avvocato viene spostato nel mondo dei canestri e, con i suoi modi duri, ma tremendamente efficaci, cambia il corso della storia della Virtus basket. E, da dirigente illuminato qual è, cambia (in meglio) anche la strada corso dei canestri in Italia e in Europa.

I modi duri e spicci, più di un giocatore non riesce a spillare qualche lira in più, perché l’Avvocato è un osso troppo duro, lo portano a collezionare soprannomi in quantità industriale. Torquemada, Robespierre, persino Duce Truce. E questo, per un uomo con spiccate simpatie di sinistra – si definiva comunista –, è il più difficile da mandare giù.

Con il suo decisionismo e la sua autorità modifica la Virtus che non vince uno scudetto dall’ormai lontano 1956 da quando, cioè, viene inaugurato il nuovo palasport di Piazza Azzarita. Porelli abolisce i biglietti omaggio e gli ingressi di comodo. Introduce la figura dell’organista per allietare il pubblico nel pre-partita: la Virtus diventa uno status symbol perché la corsa agli abbonamenti provoca il tutto esaurito.

Il palazzo, non ancora intitolato a Dozza, diventa il salotto buono della Bologna sportiva. Ma le intuizioni dell’Avvocato non si limitano alle rivoluzioni di superficie. E’ lui che, nel 1973, porta in Italia Dan Peterson, è lui che insegna al piccolo-grande Dan come muoversi nel mondo dei canestri e a sfidare anche il monumento Rubini.

Prima di Peterson la cessione di Dado Lombardi, poi l’ingaggio di Tom McMillen. Pur di averlo la Virtus accetta anche l’idea di concedergli il ruolo di pendolare sulla tratta Oxford-Bologna. E prima di Tom (che è il cugino di John, il primo vice di Dan Peterson), la conquista della Coppa Italia del 1974 e, finalmente, lo scudetto del 1976. Ci sono anche i tricolori del 1979, 1980 e 1984; quello più bello. Quello della stella. Un’altra Coppa Italia nel 1984 e due finali internazionali: Coppa delle Coppe nel 1978 e Coppa dei Campioni nel 1981. Riporta Aza Nikolic a Bologna e, sempre nel 1976, si presenta con 400 milioni per spingere Renato Villalta verso Bologna. Tra i grandi campioni della sua gestione non solo Terry Driscoll, che trasformerà poi in allenatore, ma anche due leggende del calibro di Kresimir Cosic (due anni e due scudetti) e Jim McMillian

Nel 1982 i soldi sono ancora di più: con una valigietta nella quale trovano spazio banconote per un totale di un miliardo di vecchie lire (compresi i cartellini di Maurizio Ferro e Alessandro Daniele) acquista Roberto Brunamonti. Costruisce un settore giovanile di valore (Bonamico, Binelli e Bonora i primi nomi che vengono alla mente): convince persino David Stern e la Nba e riparte da Micheal Ray Sugar Richardson. E’ uno dei padri nobili della Lega Basket. E’ uno dei fondatori dell’Unione delle Leghe a livello europea. Qualsiasi dirigente gli chiede un consiglio: quello dell’Avvocato è un modello che fa breccia e che consente alla Virtus di arrivare al top.

Vuole vincere, ma sa farlo con giudizio: "l’ideale sarebbe conquistare un titolo ogni 3-4 anni, per non svilire l’interesse degli avversari". Vincente e duro, ma mai egoista. Quella visione verso il vicino che gli consente di essere generoso con la Fortitudo: vuole vincere i derby, poi, però, gli presta i giocatori, Bonamico, Valenti. E agevola i passaggi di Benelli e Bertolotti. Un solo rimpianto nel suo rapporto con l’Aquila: non riuscire a portare in bianconero Walter Magnifico. Fosse riuscito anche in quel colpo, forse, la storia della Virtus degli anni Ottanta, sarebbe stata ancora più vincente.

Se Magnifico è un rimpianto, la Coppa dei Campioni è un cruccio. Ma anche se cede la società, l’Avvocato rimane nel mondo Virtus. Resta un dirigente ascoltato. Nel 2003, a 73 anni, riprende la valigietta: non ci sono soldi, ma tanti documenti quel 31 agosto quando, in via Vitorchiano, prova a difendere la Virtus nel mirino per il caso Becirovic. La Virtus viene radiata, ma l’Avvocato esce a testa alta. Come sempre.

Celebre anche il suo modo con il vocione per dire no all’interlocutore di turno: "Non passa". Ci lascia nel 2009 e, poco tempo dopo, anche la moglie Paola lo segue. I due non hanno avuto figli, ma nella Foresteria bianconera, in mezzo a tanti giovani che sono pure diventati campioni, l’Avvocato e la sua signora hanno avuto un ruolo da protagonisti. Da giganti appunto.

E non è un caso che la palestra di via dell’Arcoveggio sia intitolata alla sua memoria. Anche perché chi credete che spinse, nei primi anni Ottanta, perché la Virtus pallacanestro avesse una sua sede e un suo campo di allenamento? L’Avvocato, l’uomo che vedeva nel futuro.

E chi è già nel futuro, è il coach che l’Avvocato aveva scelto per la sua Virtus. Dan Peterson, per Minerva Editore, sta ultimando un volume ricco di aneddoti e racconti. Di chi parlerà il leggendario Dan? Ma è ovvio, dell’Avvocato Porelli.

(33. continua)