Strage, la strenua difesa di Cavallini "Noi Nar capro espiatorio perfetto"

L’imputato nel processo d’appello per la bomba in stazione ha depositato una lunga memoria "Protezione da Gelli? I piduisti nei Servizi ci hanno sempre accusati. Bisogna indagare sui resti di Fresu".

Una memoria lunga cinquanta pagine il cui succo emerge dalla chiusura del secondo capitoletto: sulla strage in stazione del 2 agosto 1980, "noi (i Nar, ndr) non c’entravamo nulla e nulla avremmo potuto rivelare: eravamo e siamo il perfetto capro espiatorio". Ad averla depositata alla Corte d’assise d’appello, direttamente dal carcere di Terni in cui attualmente è detenuto in regime di semilibertà, è stato Gilberto Cavallini, ora a processo dopo la condanna all’ergastolo in primo grado come esecutore materiale ("quarto uomo" con Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, con condanne definitive, cui si aggiunge poi Paolo Bellini, in attesa dell’appello) della strage in stazione che 43 anni fa causò 85 morti e 200 feriti. Tre giorni fa i suoi difensori, gli avvocati Alessandro Pellegrini e Gabriele Bordoni, hanno fatto sapere di avere rinunciato al loro mandato.

Nella memoria, l’imputato illustra punto per punto quelle che ritiene siano le prove dell’innocenza sua e degli altri ex Nar condannati per la bomba in stazione. Lo fa scagliandosi contro "l’indice accusatore", che, sostiene, sarebbe stato "puntato fin dall’inizio contro i neofascisti, altroché protezione". Un’accusa arrivata anche dai "vertici piduisti dei Servizi", i quali, scrive provocatoriamente, anziché "tutelare e proteggere gli esecutori della strage commissionata da Gelli al contrario hanno agito sempre e solo per inchiodare i Nar".

Cavallini si impegna poi a smentire le dichiarazioni di Massimo Sparti – decisive per portare alle condanne dei Nar – e chiede, proprio come già tentato invano, nelle alule di entrambi i gradi di giudizio, dai suoi (ex) avvocati, ulteriori accertamenti sui resti trovati nella tomba di Maria Fresu e in particolare sullo scalpo che presentava tracce di esplosivo, per arrivare all’identificazione di quella che ritiene essere "l’ottantaseiesima vittima". Vittima che, illustra ancora, potrebbe essere la vera trasportatrice, forse addirittura inconsapevole, della valigia piena di esplosivo: citando le dichiarazioni fatte negli anni dal terrorista Carlos ’lo sciacallo’ e del rappresentante in Italia del Fronte popolare per la liberazione della Palestina Abu Saleh (che negli anni Ottanta soggiornava a Bologna), dietro alla bomba ci sarebbe stata la mano "dei servizi americani e israeliani, veri ’padroni del terrore nero’ in Italia", che "potrebbero avere usato un palestinese o un loro agente e farlo esplodere senza che lo sapesse per accusare noi", cioè il Fplp, per ’punirlo’ della "cooperazione con l’Italia" costituita dal "lodo Moro". Una densa missiva che ora entrerà nel processo, a disposizione della Corte d’assise d’appello.

Federica Orlandi